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08 dicembre 2016

L'uomo dei dadi

Immaginate di essere indecisi tra pizza e gelato e di affidare la scelta a un dado.
Poi fate decidere al dado cosa fare sabato e domenica, se mentire o dire la verità, dove andare in vacanza. Immaginate d'investire ogni volta un pezzo sempre più importante della vostra vita.
Lasciatevi prendere dal gioco, fate salire la febbre e optate per scelte sempre più trasgressive ed estreme. Qualche esempio? Tradire o no il proprio partner, fare del male a una persona.
Immaginate ora di essere uno psicanalista e di scegliere questa come pratica di vita e di cura dei vostri pazienti.
Questo è, in sintesi, "L'uomo dei dadi" di Luke Rhinehart, recentemente ristampato dalla casa editrice Marcos y Marcos in un grazioso formato tascabile.

09 ottobre 2016

Sulla pelle viva, il Vajont raccontato da Tina Merlin

Correva l'anno 1963, il giorno 9 ottobre e le ore 22.36. Un momento fatale che, come ogni altro momento fatale della storia, scelse di occupare uno spazio preciso. In quell'istante sciagurato, 270 milioni di metri cubi di terra e 50 milioni di metri cubi di acqua ammutolirono un'intera valle. Longarone venne spezzata via, Erto e Casso ferite a morte.

Fu un disastro, ma un disastro difficile da digerire. La natura si era trasformata in nemico perché stuzzicata dall'uomo. Perché il Vajont non solo era prevedibile, ma anche evitabile.

23 settembre 2016

Europa in seppia di Dubravka Ugrešić

Sapete quali sono i tre viaggi per abbienti di tendenza oggi? C'è il Dark Grief Tourism, viaggio attraverso luoghi che hanno ospitato violenza; il Poverty Tourism, ottima scelta per gli appassionati di povertà (altrui, ovviamente!) e il Political Tourism, che offre un'esperienza in zone politicamente calde del mondo.
Se fermento e fantasia contraddistinguono il mondo dei tour operator, poca è la creatività se parliamo di capitale estetico. Oggi siamo tutti belli, curatissimi e perfetti come star. Sono impeccabili anche gli adolescenti, da quando look prodotti in serie dai guru della moda hanno sostituito maglioni sformati e sopracciglia foltissime.
D'altronde è il mercato che ci chiede di sbarazzarci di visi asimmetrici, nasoni, coloriti pallidi e altri errori di produzione che una volta ci rendevano unici.

11 settembre 2016

Quattro undici settembre



Al di là delle opinioni, dei misteri e delle teorie, l'11 settembre è una data che rimarrà impressa nella nostra memoria per sempre. Perché, come capitato anche a Parigi, Istanbul e Londra (solo per citarne alcuni), a pagare il prezzo più alto sono state le persone comuni.
Molti sono gli scrittori che hanno scelto questo tragico avvenimento per dar vita a storie complesse e toccanti. Quelli che (personalmente) ritengo valga la pena di citare sono Gabriele Romagnoli con "Un tuffo nella luce", Jonathan Safran Foer con "Molto forte, incredibilmente vicino", Don De Lillo con "L’uomo che cade" e Paul Auster con "Follie di Brooklyn".

23 luglio 2016

Vite che non sono la mia di Emmanuel Carrère

Da quando mi sono persa tra le pagine di "Limonov" e "La vita come un romanzo russo", Emmanuel Carrère è entrato prepotentemente a far parte della cerchia dei miei autori preferiti. Tuttavia, il libro che ha lasciato in me un'impronta indelebile è "Vite che non sono la mia". Molto più di un romanzo, molto più di una storia vera, molto più di un libro caratterizzato da una scrittura sincera. Molto più di tutto.

Classe 1957, Emmanuel Carrère è scrittore, sceneggiatore e regista francese. Oserei aggiungere: senza troppi peli sulla lingua.
"Vite che non sono la mia" è invece un suo libro - passato un po' in sordina - del 2009.

La sinossi è semplice: Carrère, in pochi mesi, assiste a due eventi drammatici che lo sconvolgono. Vittime due Juliette, una bambina morta durante lo Tsunami del 2004 e un'indomita donna impegnata in una battaglia contro il cancro.
La prima si trovava in Sri Lanka in vacanza mentre anche lo scrittore era lì, la seconda faceva il giudice ed era la cognata di Carrère.
Lo scrittore diventa quindi involontario testimone di due eventi che da sempre lo spaventano: la morte di un figlio per i suoi genitori e la morte di una madre per la sua famiglia.

Mosso da un suggerimento che diventa presto obbligo morale, l'autore trasforma le due storie di dolore e morte in un romanzo unico. Perché questo è Carrère: un autore capace di esprimere con una scrittura trasparente e affilata tutte le luci e le ombre della realtà.

"È un libro" - come ha detto l'autore - "dove tutto è vero". E per questo risulta essere così potente, per questo riesce a colpire in modo così forte.

Tra le pagine di questo intimo romanzo le storie crescono e si arricchiscono, e le situazioni miste a parole taglienti avvolgono e frastornano il lettore.

La vita, in tutta la sua altalenante potenza, si cristallizza nella scrittura e nel voyeurismo tipico di Emmanuel Carrère che trova finalmente la sua funzione: analizzare, sminuzzare e portare alla vera essenza la sofferenza.
Così il dolore - elemento inevitabile della vita - trova finalmente pace tra le pagine di un racconto. A dimostrazione di quanto la scrittura abbia un potere esorcizzante. Per chi scrive e chi legge.

13 luglio 2016

La gang del pensiero

"L’unico consiglio che posso dare, se per caso vi doveste svegliare in uno strano appartamento, in preda alle vertigini, con un’emicrania postsbronza saldamente installata nella testa, senza uno straccio addosso, mentre la polizia sta buttando giù la porta a mazzate con un sottofondo di latrati di cani infuriati, e vi ritrovate per di più circondati da mucchi di riviste patinate con foto di adulti, l’unico consiglio che posso dare, ripeto, è questo: cercate di comportarvi in maniera educata e di mostrarvi di buon umore".

Considerando che difficilmente rido ad altissima voce leggendo un libro, per aver ottenuto questo piccolo miracolo "La gang del pensiero ovvero la zetetica e l’arte della rapina in banca" si merita il riconoscimento di libro più divertente, ironico, e soprattutto intelligente, che abbia mai letto. So che gli aggettivi sono tanti, ma questo romanzo se li merita, perché dalla prima all’ultima riga ho riso di gusto, e ho dovuto anche rivalutare l’humor inglese. Ben due miracoli!

Con le avventure di Eddie Coffin, filosofo inglese cinquantenne acido e pessimista, e Humbert, un criminale dalle mille protesi e malattie, si ride (o sorride, secondo i gusti) in ognuna delle 370 pagine che compongono il libro. E il riso non nasce solo da un elenco di vicissitudini esilaranti, il merito è tutto di una scrittura abile e veloce che riesce a descrivere situazioni e comportamenti umani con un’arguta ironia. Regalandoci anche qualche pillola di filosofia, che non guasta.

I due protagonisti, tra sbronze, risse, rapine e riflessioni paradossali unite a un’acuta osservazione della realtà, ci regalano un grande esempio di comicità intelligente.
La grande qualità di Tibor Fisher è che possiede quell’ironia sarcastica, a volte un po’ acida, tipica di un satirico. Quell’ironia che descrive la realtà principalmente tramite metafore che arrivano solo chi è in grado di recepirle. Un’ironia ben diversa dalla capacità di far ridere raccontando volgari barzellette da bar, tipica di chi di intelligenza ne ha poca.

Eddie e Hubert sono senza dubbio i miei eroi personali. E anche Tibor Fisher.

Il tempo delle donne

Se l’emozione che nasce dalla lettura di un romanzo deriva per metà dalla bellezza del romanzo stesso e per metà da un’esperienza personale, come raccontarla?

In realtà l’ho già fatto due volte: una con i libri di Magda Szabo e una con il fumetto Marzi. E ora è tempo di arricchire il tema letteratura femminile con altri due libri.

"Il tempo delle donne" di Elena Cižova racconta della Russia dei primi anni sessanta. La protagonista è Antonina, giovane operaia incinta di un uomo che l’ha abbandonata.
La soccorre lo stato sovietico, assegnandole un alloggio in coabitazione con tre anziane donne. Saranno loro a prendersi cura della bambina, occupandosi della sua educazione.
Attraverso il racconto orale, ovvero la storia delle loro vite e le sofferenze affrontate, e quello scritto, i libri e le arti, le tre donne formano Sjuzanna. E la formano in maniera talmente perfetta che la traccia scavata diventa un germoglio che crescerà, trasformando la bambina in una giovane donna riflessiva, curiosa, ricettiva agli stimoli che la circondano, e infine ricca caratterialmente.

Assorbire i racconti, abituarsi ad ascoltare, sviluppare la capacità di riflettere ed essere curiosi – elementi che portano a rispettare profondamente libri, arti e cultura in generale – erano (e spero siano ancora) parte fondamentale del metodo di educazione dei paesi dell’Est, soprattutto per le donne.

Per questo sono nate persone come Magda Szabo e Wisława Szymborska, donne capaci di parlare delle emozioni umane in maniera altamente poetica e allo stesso tempo infinitamente concreta.

Perché parlo della poetessa polacca? Perché leggere il libro di Elena Cižova in contemporanea con “La gioia di Scrivere” di Wisława Szymborska, ne ha amplificato l’effetto poetico e la riflessione sulle caratteristiche di queste donne che in comune hanno la provenienza geografica.

La vita quotidiana nella Russia comunista e la delicatezza della penna di Elena Cižova, si sono perfettamente sposate nella mia mente con l’arte poetica di Wisława Szymborska, che ci ha raccontato “le cose della vita” in modo impareggiabile.
E con una poesia di questa profonda donna, che va scoperta e ri-scoperta continuamente, vi lascio.

Ritratto di donna
Deve essere a scelta.
Cambiare, purché niente cambi.
È facile, impossibile, difficile, ne vale la pena.
Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri, ora grigi,
neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime.
Dorme con lui come la prima venuta, l’unica al mondo.
Gli darà quattro figli, nessuno, uno.
Ingenua, ma ottima consigliera.
Debole, ma sosterrà.
Non ha la testa sulle spalle, però l’avrà.
Legge Jaspers e le riviste femminili.
Non sa a che serva questa vite, e costruirà un ponte.
Giovane, come al solito giovane, sempre ancora giovane.
Tiene nelle mani un passero con l’ala spezzata,
soldi suoi per un viaggio lungo e lontano,
una mezzaluna, un impacco e un bicchierino di vodka.
Dove è che corre, non sarà stanca?
Ma no, solo un poco, molto, non importa.
O lo ama o si è intestardita.
Nel bene, nel male, e per l’amor del cielo!

29 giugno 2016

Viaggio tra le anime baltiche di Jan Brokken

"Leggere è come viaggiare": un concetto così vero e meraviglioso da risultare banale per chi ama perdersi quotidianamente tra le pagine di un romanzo o saggio.
Aggiungiamoci però un dettaglio: leggere è un viaggio che oltrepassa i confini di una singola lettura, tanto che dopo un po' risulta difficile ricordarsi il punto di partenza e tutte le tappe.

Questo capita quando incontriamo un riferimento a un libro in un altro libro oppure quando un luogo, un momento storico o un personaggio meritano ulteriori approfondimenti.

È l'essenza del "liber librum aperit", di cui vi avevo già parlato in occasione del post dedicato a Francesco Matteo Cataluccio.

Anime baltiche di Jan Brokken è un meraviglioso volume dove si viaggia, e anche tanto. Si viaggia mentre lo leggi - quando ti ritrovi a seguire l'autore lungo le strade delle repubbliche Baltiche - e quando l'hai finito perché gli spunti per continuare il viaggio - inutile dirlo! - sono tantissimi. I racconti sono infatti dodici per un itinerario che tocca Lettonia, Lituania ed Estonia, luoghi poco conosciuti dai molti, ma ricchi di storia e storie.

Tra le pagine di Brokken rivivono l'arte di Mark Rothko e i film del regista Ėjzenštejn, le sinfonie di Arvo Pärt e i pensieri di Hannah Arendt. Non mancano poi vite avventurose come quella dello scrittore Romain Gary e un racconti di resistenza dedicato a una libreria capace di superare entrambe le guerre mondiali. È un libro di vite e vita, fatto di passioni, illusioni e quella nostalgia tipica dei popoli che hanno sofferto troppo.
In Anime baltiche c'è la storia, difficile e violenta. Ci sono Riga, Tallinn, e Vilnius, con i loro quartieri ebraici, i castelli e palazzi borghesi dal sapore ottocentesco. E c'è, in ogni parola - la sensibile, curiosa e indomita anima baltica. Quell'anima che, attraverso arte, musica e poesia, ha contribuito alla grandezza di questi protagonisti della storia e ci ha regalato tanta bellezza.

21 giugno 2016

Patagonia e Vajont, storie di un passato scomparso

C'erano una volta due gruppi di persone che vivevano una vita semplice, all'insegna dei racconti attorno al camino, del contatto con la natura e del rispetto nei confronti degli altri esseri viventi.
C'era una volta una vecchietta che rendeva fertile la terra che toccava, un forte spirito di collaborazione e l'amore per il proprio lavoro quotidiano.
C'erano una volta due terre. Oggi sono rimasti due libri.

La Patagonia di Luis Sepulveda

"Ultime notizie dal Sud" di Luis Sepulveda racconta il viaggio di uno scrittore e un fotografo.

I due, armati di una Moleskine e una Leica, decidono di esplorare la Patagonia alla ricerca di storie.
Tra paesaggi mozzafiato e luoghi dove il tempo sembra essersi fermato, entrano in contatto con una realtà in via d'estinzione, fatta di natura e artigianato, suggestive leggende e vite avventurose.

Nel deserto incontrano una persona in cerca del legno perfetto per un violino speciale; in un bar il discendente di Davy Crockett; a El Bolson un vero folletto. Ma si tratta sempre di ultime storie, di piccoli brandelli di un passato che già oggi non è più possibile ritrovare. E la toccante avventura della coppia si trasforma nello struggente addio a una regione cancellata dall'avidità dei potenti della terra.


Il Vajont di Mauro Corona

Di ultime storie parla anche "Il volo della martora" di Mauro Corona, potente e malinconico racconto dedicato al Vajont e alla sua gente.

Quelle di Corona sono narrazioni dal sapore montanaro, che hanno per protagonisti falegnami e cacciatori e raccontano non solo di animali, fiori, alberi, ma anche di sentimenti, aspirazioni, valori. Tutti scomparsi.

Le pagine si susseguono riempiendosi di calore e umanità e, a volte, anticipano quello che sarebbe stato il destino della gente del Vajont, al di là del disastro del 9 ottobre 1963.

Emblematico in questo senso è il racconto dell’avvento (grazie ai lavori sulla diga) di nuove possibilità lavorative e maggiore disponibilità di denaro che portano in città la prima televisione, televisione che sostituisce immediatamente il consueto momento del racconto attorno al fuoco, annientando tradizioni e distruggendo l'anima di un paese.

L'evento diventa una delle prime cause della lenta e inesorabile trasformazione della gente del Vajont, resa dal capitalismo più solitaria, più fredda, più chiusa. E soprattutto dotata di sempre meno parole.
Parole che, per fortuna, è ancora possibile ritrovare nei libri.

Due favole tristi, un monito per il futuro
I racconti di Mauro Corona e Luis Sepulveda sono favole dal triste finale che riguardano anche noi, perché ci ricordano l’importanza di ridimensionare il concetto di crescita e sviluppo.

Svuotati di contenuto, senza tradizioni e valori, schiavi dei consumi e privati della stessa facoltà d'immaginare o pensare, diventiamo peggiori dimenticando completamente la magia del mondo che ci circonda.

Poiché rimarginare le ferite del passato è sempre più difficile che prevenire scelte sbagliate, vi consiglio di trovare in questi libri una guida a ciò che conta e che vale davvero la pena difendere e preservare. Gli splendidi racconti di Corona e Sepulveda, per chi è in grado di apprezzarli, possono essere un meraviglioso salvagente per mantenere intatta la propria umanità.

13 giugno 2016

A proposito della tetralogia di Elena Ferrante

Un altro viaggio è terminato: quello in compagnia di Lenuccia e Lila, le "amiche geniali" di Elena Ferrante. Se consiglio questo libro? Sì. E non solo: se siete donne, vi auguro di viverlo più che di leggerlo; di immergervi in questo mare di umanità imperfette; di osservare voi stesse attraverso le due protagoniste anziché di guardarle da lontano.

Lila e Lenuccia sono cresciute dall'amica geniale e - in "Storia del nuovo cognome", "Storia di chi fugge e chi resta", "Storia della bambina perduta" - hanno attraversato adolescenza, giovinezza, mezza età fino ad arrivare alla vecchiaia. Sempre diverse ma insieme, anche quando divise. Successi e insuccessi sono stati distribuiti in egual misura tra le due che però non li vivono quasi mai insieme, quasi a dimostrare la necessità di rimanere sempre in contrapposizione. Il tutto in una Napoli che cambia, ma solo apparentemente.

E la trama? Impossibile cedere alla tentazione di raccontarla. Tra i punti forti del libro c'è infatti la sua capacità di sorprendere sempre. Ma poco ci importa: il vero punto di forza della tetralogia non è solo la storia, ma la capacità di farti ritrovare e vedere con più chiarezza te stessa.

Donne in bianco e nero

La storia delle due amiche è prima di tutto uno specchio dell'essere donna, amica, moglie, madre. Uno specchio fedele che riporta un'immagine imperfetta, sgraziata, a volte a colori e a volte in bianco e nero.
Se la personalità e psiche di Lenuccia appare abbastanza chiaramente al lettore, di Lila abbiamo solo uno sfocato riflesso che scaturisce dal racconto della sua amica.  E questo disorienta, fa sentire orfani, fa volere di più. Difatti, a un certo punto della lettura, ho bramato intensamente l'uscita di un quinto volume raccontato solo dalla voce di Lila.

Perché affascinano Lila e Lenuccia? Perché sono l'archetipo di due modelli di persona: Lenuccia indossa una maschera e, attraverso questa scelta, esprime in modo completo e interessante il divario che è possibile creare tra ciò che siamo e ciò che appariamo. Osservandola è possibile capire che dietro a una frase sprezzante, a un comportamento antipatico, c'è una voragine di pensieri, idee, sentimenti, paranoie, che difficilmente qualcuno (se non la sua amica) riuscirà mai ad afferrare.
I comportamenti di Lenuccia diventano il prodotto mal distillato di una botte ricca di ingredienti preziosi, un prodotto che non riesce a conservare le sue caratteristiche perché troppo influenzato dagli agenti esterni.

Lila è invece tribale, primitiva, selvaggia. È l'essenza autentica, senza filtri. La sua sfrontatezza è autentica, la sua natura emerge con prepotenza. Non ha bisogno di costruire maschere per compiacere o essere come gli altri la vogliano. È veramente forte e non sa di esserlo.

L'Italia tra splendori e macerie, una metafora della vita

Il libro è specchio anche di un'Italia che cambia e, allo stesso tempo rimane sempre uguale. Quasi come se la sua sporcizia fosse ormai caratteristiche indelebile. La fame di ricchezza, la lotta di classe, l'instabilità morale, il rapporto con il potere: l'Italia e gli italiani sono lo sfondo e l'anima del libro.

Napoli stessa è una città che cambia e non cambia, dove "si è costruito tutto e scassato tutto", una zona in bilico tra splendori e macerie. Prima è grigia, poi splendente, poi nuovamente grigia. Un po' come l'intera storia e la vita stessa, che altri non è che un susseguirsi di deviazioni e sbandamenti - a volte positivi, a volte negativi - e di continui tentativi di mantenere l'equilibrio.


L'amica geniale
Autore: Elena Ferrante
Data di pubblicazione: ottobre 2011
Pagine: 400
ISBN: 9788866320326
Editore: Edizioni E/O
Prezzo: € 18,00

Storia del nuovo cognome
Autore: Elena Ferrante
Data di pubblicazione: ottobre 2012
Pagine: 480
ISBN: 9788866321811
Editore: Edizioni E/O
Prezzo: € 19,50

Storia di chi fugge e chi resta
Autore: Elena Ferrante
Data di pubblicazione: ottobre 2013
Pagine: 384
ISBN: 9788866324119
Editore: Edizioni E/O
Prezzo: € 19,50

Storia della bambina perduta
Autore: Elena Ferrante
Data di pubblicazione: ottobre 2014
Pagine: 464
ISBN: 9788866325512
Editore: Edizioni E/O
Prezzo: € 19,50

01 giugno 2016

1Q84 di Haruki Murakami



Se un libro non ti lascia dormire la notte. Se arrivi a parcellizzare le pagine per paura di finirlo. Se continui a dirti che più di 700 pagine sono troppo poche. Se, una volta finito, l'unica cosa che senti è la necessità di raccontarlo e raccomandarlo. Ecco, se arrivi a questo punto, vuol dire che hai in mano qualcosa di speciale.

1Q84 di Murakami è così, e io lo sapevo nel momento in cui l'ho acquistato. Molto al di sopra di "Dance Dance Dance", "L’uccello che girava le viti del mondo" e "Kafka sulla spiaggia", 1Q84 è l'opera di Murakami che ho preferito. Cosa incredibile visto che ho amato ogni singola opera dello scrittore giapponese.

Lost in 1Q84
Tralasciando la trama,  che sarebbe ingiusto svelarvi, l'unica cosa di cui possiamo parlare sono le emozioni e le impressioni. Non mi ritrovavo così soddisfatta ed entusiasta di un prodotto culturale dalla fine di Lost, in assoluto il miglior telefilm di tutti i tempi per la sua capacità di essere simile all'epica, alla letteratura e alla tragedia greca.

1Q84 ha infatti molte cose che ricordano il celebre serial di J.J Abrams: la scelta di un racconto a più voci optando per parallelismi difficili da identificare nel tempo, i flashback, la dipendenza che si prova alla fine di ogni capitolo e il principio: sia in Lost che in 1Q84 i protagonisti si ritrovano "prigionieri" in un luogo chiuso all'inizio della storia.

Come Lost, questo romanzo ti trascina in un mondo altro sconosciuto e indefinibile e trasforma la lettura in qualcosa di attivo e non passivo. La mente è infatti continuamente stimolata a trovare collegamenti, ricordare riferimenti e tentare di dare un senso a tutti i piccoli indizi contenuti nel libro.
Ma 1Q84 è anche, come Moby Dick e sempre come Lost, un contenitore di cultura grazie alle numerose citazioni musicali e letterarie all'interno del romanzo, tutte ovviamente ben inserite nel contesto descritto. Ed è anche un libro che ha come protagoniste tante donne caratterizzate con precisione.

Infine 1Q84 è una bellissima storia "alla Haruki". Onirica e suggestiva ma che, unita agli elementi qui sopra, crea un qualcosa di unico.

Il finale e il lettore attivo
Dopo l'uscita di 1Q84 Libro 3, numerosi commenti hanno accostato il lunghissimo romanzo di Murakami a Lost. Anche, e oserei dire soprattutto, per il finale, considerato da tutti deludente.
Al di là dei giudizi personali, che rispetto, ritengo sia sbagliato giudicare un'opera, che sia un libro o un telefilm, basandosi esclusivamente sul finale. 1Q84, come Lost, è da valutare nella sua interezza. È una grande opera da ammirare per l'intreccio scelto, per la completezza della sua struttura narrativa, per i dettagli, per la descrizione dei personaggi e, soprattutto, per le sensazioni provate durante la lettura. Se si presta attenzione a tutti questi elementi, il finale appare sotto tutta un'altra luce.

1Q84, come ogni altro libro di Murakami, necessita di un lettore attivo e attento, capace di riflettere su quello che legge. Oltre a un pizzico di fantasia, per poter dare un proprio senso alla storia, occorre concentrazione e buona memoria, perché spesso gli indizi per interpretare il finale e contestualizzare l’intero racconto sono nei capitoli precedenti. Proprio come in Lost.

Ricordando Umberto Eco, che nel suo "Apocalittici e Integrati" scrive che "la cultura odierna ha la tendenza di suggerire emozioni già costruite scoraggiando sforzo individuale", si può dire che 1Q84 non è adatto a lettori che si aspettano di ricevere un finale chiaro ed esaustivo. Certo alcune cose non vengono spiegate, in parte è vero, ma è possibile completarle con la propria fantasia.

Ritengo 1Q84  una grande saga caratterizzata da un intreccio affascinante che ti costringe a prestare attenzione a ogni singolo passaggio per poter ricostruire l'intera storia.
A una scrittura semplice, peculiarità di ogni scrittore giapponese, si abbina un’incantevole narrazione molto visiva e una fantasia surrealista degna di David Lynch. Tutti elementi che confermano la grandezza di Murakami e di questa sua opera.

Questo è stato per me 1Q84. Questo è per me Haruki Murakami.

29 maggio 2016

Lolita dov'è?


Lolita la potete trovare in tanti luoghi. Distanti, diversi, ma forse in realtà molto simili.
Lolita è nella provincia americana, che vaga tra le pagine del romanzo di Vladimir Vladimirovic Nabokov.
Lolita è in Iran, tra le mani di un gruppo di lettura semiclandestino.

Nella prima ambientazione, il romanzo di Nabokov, c’è una ragazza minorenne circuita da un adulto. Nella seconda, il libro Leggere Lolita a Teheran, lo stesso personaggio si trasforma in metafora e riscatto per un gruppo di donne nella sua stessa condizione.

L’opera di Azar Nafisi è basata su fatti realmente accaduti. La protagonista è l’autrice del libro, docente di letteratura inglese che decide di spiegare a un gruppo di studenti la letteratura occidentale, e con essa esorcizzare i lati negativi della cultura islamica.

Il parallelismo traspare in modo lucido: Lolita è debole, e questo la rende vittima, prigioniera di un carnefice che le ruba l’infanzia e le nega ogni possibilità di scelta.
Anche il popolo iraniano è vittima di un regime che vuole imporre la sua volontà, che immagina donne come prodotto del suo sogno e le rinchiude in prigioni. E non sempre le sbarre non sono visibili, spesso si tramutano in soprusi nati da una ciocca di capelli che scivola fuori dal velo o dalle unghie laccate di rosso.

Messaggio altrettanto importante è che i mostri possono camuffarsi sotto le mentite spoglie di chi pensa di fare del bene (Humbert) e di chi dice di proseguire il messaggio di Dio (l’Ayatollah).

La letteratura diventa nel libro l’essenza della democrazia e dell’indipendenza e il personaggio di Lolita produce quindi un grido di libertà, riscattando la ragazza del romanzo di Nabokov che non ha saputo difendersi.
C’è anche un terzo luogo dove è possibile trovare Lolita.

Nell’attualità di un paese. Dove un politico, proprio come Humbert, cerca di convincere l’opinione pubblica dei suoi sentimenti puri, giustificando le sue azioni con la scusa del fare del bene.

27 maggio 2016

L'amica geniale di Elena Ferrante

Mi ha seguito a lungo questo romanzo, ma io non ho mai risposto al suo richiamo. Perché? Perché non mi piacciono i libri di cui si parla troppo e a sproposito. Alle letture di tutti preferisco i romanzi poco conosciuti, che appaiono ai miei occhi fragili e indifesi. Quindi da adottare.

Tuttavia, nel libro di Elena Ferrante c'è molto più degli inutili pettegolezzi sulla sua identità. Questo libro, storia di un'amicizia lunga oltre sessant'anni, esercita una forte attrazione sul lettore, attrazione che solo i grandi romanzi sono capaci di generare.

Al centro della saga ci sono Raffaella ed Elena, ovvero Lila e Lenuccia, due amiche che si muovono tra le strade di un arido rione napoletano circondate da un pubblico di personaggi memorabili.
Lila ha un carattere forte, tanti talenti innati e una storia inquieta, Lenuccia vive nell'ombra dell'amica e deve trovare la sua strada. Crescono, scoprono successi e delusioni, trovano l'amore e fanno scelte. Prendono strade diverse ma parallele, restando unite da un legame impossibile da spezzare. Ed è Elena a raccontarci la storia di questa profonda amicizia, che nasce e cresce all'ombra dei cambiamenti che investono il tessuto sociale del rione in oltre cinquant'anni.

In questo primo libro di una saga lunga quattro volumi ci sono splendidi personaggi con tutte le loro passioni. C'è una caratterizzazione forte e precisa della loro umanità: mentre aspettavo che Lenuccia, alla quale mi sono affezionata da subito, trovasse la sua strada e definisse la sua personalità, ho provato profondo affetto anche per Lila. Così diversa, speciale e ben descritta, tanto che mi era quasi possibile anticiparne i comportamenti.

Nell'amica geniale c'è poi anche la strada, la polvere, lo sporco. La stessa amicizia tra Lila e Lenuccia è spesso cruda e carnale. Fatta di alti e bassi, di amore e odio, di condivisione e gelosia, di cattiverie e solidarietà. Un vortice di sentimenti positivi e negativi che, attraverso una prosa delicata e reale che in certi punti meraviglia e in altri scuote, traccia i contorni di un legame che sa di vita vera.

Scossa da tutta questa bellezza, sono arrivata alla fine del primo volume che già pensavo al secondo. Lasciare questi personaggi? Impossibile. Veloce corsa quindi in libreria, aspettando nuove pagine e scrutando con curiosità i titoli dei capitoli alla ricerca di anticipazioni della trama.
E alla fine, mossa da questa febbrile voglia di continuare a far parte di questo mondo, ho capito sulla mia pelle perché la Ferrante incanta.

22 maggio 2016

Dai diamanti non nasce niente: storie di giardini, storie di resistenza

Paradiso perduto, simbolo di perfezione, luogo in cui formare sentimenti nobili come la cura e la pazienza, spazio per abituare gli occhi alla bellezza e per curare le ferite dell’animo.

Il giardino, con le sue piante e i suoi fiori, racchiude ed esprime numerosi significati positivi.
Serena Dandini li ha tutti riuniti nel suo libro, “Dai diamanti non nasce niente”, un curioso viaggio attraverso citazioni e riflessioni legate da un unico filo rosso, anzi verde.

Dalla rappresentazione dell’Eden nelle pagine della Bibbia, ai racconti storici che vedono protagonista Alessandro I o Monet, la conduttrice-scrittrice ci porta alla scoperta di giardini, veri e immaginati, più belli del mondo. E arricchisce questa trasferta con aneddoti musicali, letterari, cinematografici, storici e di attualità.

Sono infatti tantissimi i personaggi reali e non che popolano il romanzo: da Virginia Woolf ai Beatles, passando per Alice, gli Impressionisti, Emily Dickinson, Goethe e anche Rossella O’Hara.
Il risultato è prima di tutto un’opera che soddisfa l’interesse di chi legge libri perché ha un animo desideroso di sapere. Pagina dopo pagina, si scoprono le motivazioni che legano questi personaggi a piante e fiori, si svelano storie di vita, si ricordano viaggi, e si scopre come opere pittoriche e musicali siano nate per esprimere l’amore nei confronti della natura. Il libro nasce, cresce, si arrampica e coinvolge il lettore in un concentrato di informazioni e curiosità.

Il volume non si limita però a offrirci un momento di svago e conoscenza. Le sue pagine diventano l’occasione per lanciare anche un importante messaggio invitando a fermarci per riacquistare la vista e ritornare a vedere la bellezza del paesaggio.
Dice la scrittrice: “Se guardiamo un panorama in tv lo ammiriamo estasiati invece nel mondo reale siamo spesso distratti”. Distratti da cosa? Da telefonini, app, navigatori e altra tecnologia, utile ma allo stesso tempo abbandonabile per riposare gli occhi e ritrovare se stessi attraverso il contatto con la terra.

E non solo, il giardino è inteso anche come miglioramento: se si impara ad avere cura delle piante, sarà più facile avere cura e rispettare persone e cose che ci circondano e, ancora più in generale, curare i propri sogni. L’attenzione nei confronti del verde è una scuola di formazione che permette di coltivare il sentimento della cura e trasformarlo in una forma di rieducazione alla pazienza. Oggi se la nostra connessione internet è lenta ci spazientiamo, mentre con il giardinaggio e la coltivazione di fiori, piante e ortaggi, possiamo imparare ad aspettare, a vivere il tempo normalmente e anche a non arrenderci di fronte alle sconfitte… ovvero resistere!

Riacquistare la vista e rendere il nostro tempo migliore non è cosa da poco. Iniziamo da questo libro.

15 maggio 2016

La sua danza: a tu per tu con Rudolf Nureyev

A parte poche eccezioni rappresentate da libri come "Open" di Andre Agassi, non mi piacciono le biografie o le storie di personaggi celebri. Nemmeno quelle non ufficiali o in forma romanzata.
Le ho sempre trovate poco appassionanti e coinvolgenti, e il buon proposito di affrontarle si è sempre infranto dopo poche pagine.

Con "La sua danza" ho scoperto che leggere la storia di un personaggio famoso non è sempre qualcosa di noioso e lungo. Che dipenda dal personaggio in questione? Probabile.

Il libro ha per protagonista Rudolf Nureyev, il ballerino russo morto di Aids a soli 55 anni, e diventato icona irraggiungibile della danza.
La sua storia inizia in Russia nel 1941, quando nel reparto d’ospedale il giovane Rudik salta, vola e piroetta di fronte ai soldati di ritorno dalla guerra.

Come in un balletto, le vicissitudini umane di Nureyev si susseguono con un ritmo brillante e preciso attraverso diversi punti di osservazione.

La fuga dal regime verso orizzonti più ampi, la descrizione di una Russia immobile, ma densa di poesia, la personalità complessa e umana di un uomo ossessionato, la droga e il sesso sono alcune delle tematiche raccontate da un coro di personaggi che danno voce ai vari lati – sentimentale, artistico, sociale, politico e omosessuale – del ballerino.
Queste voci sono la sorella Tamara, il marito della sua prima insegnante di ballo, la loro figlia Julia, ma anche Andy Warhol e Margot Fonteyn.

Il pioniere della danza viene così messo a nudo da questa polifonia e dalla scrittura di Colum McCann, offrendoci molti spunti da ricordare.

Nureyev rappresenta una vita dedicata alla disciplina e alla voglia di raggiungere cime inaspettate.
Nureyev rappresenta la voglia di libertà e cambiamento attraverso la danza, che è già un modo metaforico di plasmare lo spazio.
Nureyev rappresenta la bellezza della danza e la fragilità di una persona reale che, come tutti noi, commette degli errori. Che paga molto cari.

Emozioni, azioni, scelte diventano il combustibile che muove i passi feroci di Nureyev, e a sua volta i passi della sua danza si trasformano in modo per raccontare gioia, ribellione e disperazione.
E tutto questo la scrittura dell’irlandese Colum McCann lo racconta benissimo.
Amavo la danza, ma dopo questo libro l’amo ancora di più.

10 maggio 2016

I Quaderni Giapponesi di Igort

Il tuo cuore accelera quando si nomina il Giappone? I manga hanno invaso scaffali, mensole, mobiletti e anche scarpiere? Sogni di avere un vicino che si chiama Totoro?
Se la risposta (a una o a tutte e tre le domande) è sì, abbiamo qualcosa in comune e un libro da conservare con cura nelle nostre librerie: Quaderni Giapponesi di Igort.

Il succo del libro è questo: Igort ci porta tra le bellezze della terra nipponica, senza un viaggio di dodici ore. Ci porta tra le minuscole stradine giapponesi, nelle tavole calde, negli uffici e ci presenta usi, tradizioni e miti di questo straordinario paese. Ci porta in viaggio per raccontarci una parte importante della sua vita e la realizzazione di un sogno: lavorare nel Sol Levante. Tra le sue pagine e i suoi disegni, trova infatti ampio spazio il rapporto lavorativo di sei mesi con la casa editrice Kodansha che, a partire dagli anni '90, concesse a fumettisti e studiosi occidentali la possibilità di trascorrere del tempo in Giappone.

Quaderni Giapponesi, però, non è solo il viaggio di un disegnatore nel paradiso dei disegnatori, ma una ricchissima esperienza multi sensoriale. Per chi ama il Giappone, o semplicemente per chi ha un carattere curioso, non è difficile lasciarsi avvolgere dai colori, dagli odori e dai rumori evocati dai tratti di Igort. Non mancano poi innumerevoli personaggi del passato e del presente che, con le loro storie, fanno capolino tra le suggestive pagine del libro.

La matita di Igort riesce con sublime maestria a raccontare tutte le sfumature del Giappone, adattandosi perfettamente a ogni situazione. A volte il disegno è minimale e privilegia il bianco e nero, altre volte i colori emergono con forza per richiamare la bellezza degli scorci giapponesi. Il tutto mentre digressioni iconografiche che riprendono stampe Ukiyoe, inquadrature di film nipponici e fotografie reali regalano alla graphic novel una connotazione ancora più ampia e ricca.

Questo connubio di stili e contenuti differenti dà vita a un grande affresco dove la potenza del fumetto si combina con le storie e le tradizioni di quell'impero dei sogni dove grazia e bellezza affascinano l'occidente sin dall'ottocento. Per questo e per tanto altro, Quaderni Giapponesi è una lettura fondamentale per filo-nipponici e per appassionati di storia del fumetto e dell'animazione.

Per saperne di più: igort.com/ - fandangoeditore.it/shop/coconino-press/quaderni-giapponesi/

08 maggio 2016

Confessioni di un sicario dell'economia


Come si fa a ribellarsi a un sistema che sembra darci una casa, cibo e vestiti, elettricità e assistenza sanitaria, pur sapendo che quel sistema crea anche un mondo dove ventiquattromila persone muoiono di fame ogni giorno e altri milioni ci odiano?

Alcuni libri ci intrattengono, altri ci fanno viaggiare con l’immaginazione, altri ancora ci raccontano storie di vita da cui possiamo trarre spunti e insegnamenti utili per affrontare i problemi quotidiani.
Esistono però dei libri che nascono per aiutare il lettore a interpretare il mondo che lo circonda e, soprattutto, sviluppare opinioni personali in grado di farlo vivere con più consapevolezza.

Il libro di John Perkins appartiene a questa categoria. “Confessioni di un sicario dell’economia” è un testo lucido, chiaro e semplice, capace di mantenere viva l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima riga.
Non è un’opera per chi ama i complotti, ma un diario mozzafiato che racconta una verità pesante. Una realtà che facciamo finta di non vedere perché anche noi siamo ancora succubi dell’apparenza e schiavi del “sogno americano“.

Attraverso una scrittura fluida e lucida, e allo stesso tempo chiara, John Perkins espia le colpe del suo passato denunciando quello che ha fatto e visto e raccontando al mondo la sua vita “da sicario”.

I sicari dell’economia americani, di cui John Perkins faceva parte, sono professionisti che, attraverso previsioni economiche per lo più falsificate invogliano i leader di diverse nazioni (in passato Iran, Indonesia, Panama e Arabia Saudita) a dar vita a grandi e ambiziosi progetti “di sviluppo”.

Fingendo di voler esportare la loro democrazia, la loro cultura e il loro stile di vita (come ha raccontato anche Massimo Fini nel Vizio Oscuro dell’occidente) gli Stati Uniti convincono i leader dei paesi che considerano “sottosviluppati” a chiedere prestiti che non saranno mai in grado di restituire.
Chi si rifiuta di cedere alla trasformazione del suo paese in clone del “americano” viene, semplicemente, eliminato. Chi accetta diventa “colonia”.

In sintesi,  i “sicari” sono gli esecutori di un progetto che ha come obiettivo il trasformare gli USA in impero mondiale. Ma la sintesi non basta per spiegare appieno tutti i meccanismi di questo sistema, quanti orrori nasconda e cosa possiamo fare noi per cambiarlo. Per avere queste informazioni bisogna leggere l’intero libro.

Confessioni di un sicario dell’economia è un libro molto difficile da digerire. Un “Gomorra” americano. Con la differenza che, mentre in Italia conosciamo benissimo il potere delle mafie e siamo consapevoli della sua presenza, nel libro di Perkins è raccontata una storia che troppi non hanno sentito o non vogliono sentire.

02 maggio 2016

Israele e Palestina: due libri da leggere

Palestina e Israele. Israele e Palestina. Non dovrebbero essere due squadre di calcio, ma dai più vengono trattate come tali. Non dovrebbero dividere il mondo in due fazioni che simpatizzano per una o per l'altra parte, ma lo fanno.
Io non tifo per nessuna delle due parti perché penso sia disumano e infantile schierarsi, soprattutto se parliamo di violenza ai danni degli innocenti. Quando a morire sono i civili, ogni parola diventa superflua e l'unica riflessione possibile è che la vendetta, una volta innescata, difficilmente può avere fine.

Della questione israelo-palestinese e di vendetta parlano anche due romanzi bellissimi: "Ogni mattina a Jenin" di Susan Abulhawa e "Vendetta" di George Jonas.

"Ogni mattina a Jenin" è una struggente saga familiare che racconta la storia di una famiglia araba costretta a lasciare la sua casa natale a Ein Hod per il campo profughi di Jenin e a subire, per oltre sessant'anni, violenze e soprusi da parte dell’esercito israeliano.
Non è una storia vera ma, come suggerisce l’autrice, i fatti e i dati raccontati purtroppo lo solo.
La famiglia di Amal, la protagonista del romanzo, diventa così l'emblema di tutte le famiglie palestinesi e la rappresentazione del dolore fisico e mentale delle vittime di ogni guerra.
Nelle pagine di "Ogni mattina a Jenin", è come se i palestinesi pagassero per tutto quello che hanno subito gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Come se il male dovesse per forza essere esorcizzato con altro male.

Questo concetto della circolarità del male lo ritroviamo anche in "Vendetta" di George Jonas (NDR. da cui Spielberg ha tratto il bellissimo film "Munich"). Tutto inizia il 5 settembre 1972, quando un commando palestinese di Settembre Nero fa irruzione nel villaggio olimpico di Monaco e sequestra alcuni atleti israeliani. Il risultato è un bagno di sangue.
Viene così organizzato un gruppo con il compito di dare la caccia ai terroristi responsabili della strage. A ogni costo.
La ricerca innesca però un'altra ricerca, e gli inseguitori si ritrovano inseguiti da un commando palestinese, in una girandola senza fine.

Se, anche in questo caso, il sentimento iniziale è rabbia e sdegno, proseguendo la lettura il punto di vista cambia.  Il libro, seguendo la storia del gruppo, indaga più profondamente le ragioni di entrambi i gruppi, e in generale il sentimento della vendetta e delle conseguenze a cui può portare: un circolo vizioso di violenza.
La vendetta è quindi rappresentata come un'eterna lotta tra un Davide e un Golia che si scambiano continuamente di posto: si comincia con una violenza intensa e tragica del forte ai danni del debole e si prosegue con l'ex debole che si trasforma a sua volta in forte.
Non è solo una storia che fa paura o una sequenza di fatti che disorienta, ma è la rappresentazione perfetta dell'attuale situazione geopolitica, dove si risponde ad atti di terrorismo con atti di terrorismo "necessari". Una risposta che per ora ha solo peggiorato la condizione del nostro mondo, che tanto si sente portatore di pace.

24 aprile 2016

Tre libri che parlano d'amore (meglio di Shakespeare)



Romeo e Giulietta non è la mia storia d’amore preferita.

Nonostante le lacrime e la mia passione per Shakespeare, al velocissimo colpo di fulmine degli amanti di Verona preferisco la tenerezza di un amore lungo una vita. E di amori lunghi una vita, sapientemente raccontati, ne sanno qualcosa Gabriel Garcìa Marquez, Orhan Pamuk e David Nicholls, autori di quelle che considero le più belle storie d’amore mai raccontate.

L’amore ai tempi del colera non ha bisogno di presentazioni: quante emozioni in quelle pagine finali che raccontano con delicatezza il coronamento del sogno d’amore tra Fermina Daza e Florentino Aziza! Che meravigliosa e commovente poesia caratterizza i lenti movimenti dei due, ormai anziani, quando finalmente si ritrovano fisicamente vicini dopo una vita infinita!

Anche Il Museo dell’Innocenza, capolavoro del turco Orhan Pamuk parla di un amore lungo una vita.
Kemal e Fusun si incontrano, si trovano coinvolti in una passione fisica travolgente e vengono allontanati in modo apparentemente interminabile. Vivendo nella speranza di realizzare il loro sogno d’amore.
Dopo averci deliziato con Neve, il primo romanzo dopo il Premio Nobel vede un Pamuk strepitoso, capace di raccontare attraverso un geniale espediente narrativo – l’ossessiva raccolta da parte di Kemal di ogni singolo oggetto legato alla sua amata – la purezza di un sentimento infinito.

Tempo e amore sono anche i protagonisti del romanzo One Day di David Nicholls. Una commedia romantica inglese alla Nick Hornby colta sempre lo stesso giorno, il 15 luglio, per 19 lunghi anni. Anche in questo caso Emma e Dexter sono protagonisti di incontri, separazioni, matrimoni e così via.
Fermina e Florentino, Kemal, e Fusun, Emma e Dexter si trovano, si lasciano, si cercano, si ritrovano o si lasciano.
Ma il loro sentimento pervade la cronaca delle loro vite e non si spegne mai.

Non me ne voglia William, ma questo è l’amore che commuove. Quello capace di resistere.

Chernobyl 1: Lupo mangia cane

Mi sono detta "è solo finzione, è solo un romanzo, è solo un giallo ben descritto", ma il senso di ansia non mi ha abbandonato fino alla fine. Il libro di Martin Cruz Smith, che ho scoperto grazie a un passaparola, è infatti ambientato nel peggiore degli incubi moderni: Chernobyl. E qui realtà e finzione si incontrano e incrociano in un crescendo di doppia tensione e inquietudine.

La trama racconta dell’omicidio del dirigente della NoviRun Pasha Ivanov, ritrovato apparentemente suicida a Mosca, e di quello del suo socio, ucciso fuori dal cimitero di Chernobyl. A indagare è l’ispettore Arkady Renko, già protagonista del precedente romanzo di Smith "Gorky Park", che viene presto trascinato in quella parte del mondo dimenticata e ferita dallo scoppio della centrale nucleare.

A livello stilistico e d'intreccio, Lupo mangia cane svolge perfettamente il suo compito di thriller/giallo: intrattiene, coinvolge il lettore in una lettura di svago e lo spinge a divorare velocemente il romanzo, fino ad arrivare alla scoperta del colpevole. Ma quello che questo libro ha di diverso è la scelta dell’ambientazione: la necropoli Pripijat, poco lontana da Chernobyl.
I luoghi e le storie delle persone vengono descritti in modo lucido e drammaticamente reale, come se l’autore si fosse recato davvero a studiare tutta la zona.Tutto è fermo, le case sembrano tombe e gli oggetti immobili raccontano la vita delle famiglie che li hanno lasciati. Tutto è fermo, tranne la vita delle persone, che diventa un’affannata corsa contro l’ovvia morte.

Possiamo distrarci con Lupo mangia cane, ma durante tutta la lettura si percepisce una sorta di eco disperato in sottofondo, che fa riflettere. Perché molte delle cose raccontate, passate e presenti, sono vicine alla realtà.
Sappiamo, e lo documentano le foto, che a Chernobyl come a Fukushima tutto è fermo.
Sappiamo, e lo raccontano le storie, che in pochi si salvano da tumori e malattie causate dalle radiazioni.
Sappiamo che c’è stato un ritardo nel dare l’allarme e nell’evitare il consumo di prodotti agricoli.
Sappiamo che sono state sottovalutate le conseguenze del disastro.

E’ solo un romanzo, è solo finzione, ma nell’anno del trentennale di Chernobyl, la mente non può che fermarsi per riflettere.

21 aprile 2016

Cecenia. Il disonore russo

"Era il cinquantaquattresimo compleanno del presidente Vladimir Putin e quella morte sembrava un regalo.
Anna Stepanovna Politkovskaja viene sepolta il 10 ottobre 2006 al cimitero Trojekurovo di Mosca.
La sua parola non poteva essere fermata che così.
L’assassinio a oggi non ha colpevoli né mandanti. Ma le sue parole continuano a essere spine ficcate sotto le unghie e nelle tempie stesse del potere russo.
Cecenia è un libro pericoloso.
Anna Politkovskaja l’ha scritto riuscendo a rendere la storia della guerra in Cecenia una realtà quotidiana di tutti. Ed è questo ciò che l’ha uccisa
."

da "La Bellezza e l’inferno" di Roberto Saviano



Prima chiave di lettura: un olocausto contemporaneo

 "Cecenia. Disonore Russo" è un libro che ci pone di fronte alla crudeltà di un potere capace di giocare con le vite degli innocenti. È la storia di un olocausto contemporaneo, e non (come detto dai comandanti russi) una necessaria operazione di antiterrorismo. È la storia di un genocidio etnico e culturale ai danni di un intero popolo, qualcosa di simile all'incomprensibile violenza della Shoah. È un libro che destabilizza e non fa dormire, che parla dell’arroganza di ritenere un popolo straniero indegno di vivere, e della malata idea di una singola persona capace di dare forma (dal nulla) a un’operazione punitiva.

Seconda chiave di lettura: Chi scrive, muore

Il libro va letto anche attraverso la storia della giornalista, che si è trasformata in un testimone oculare scomodo e pericoloso agli occhi dei mandanti dell’operazione. Anna è stata prima vittima della macchina del fango russa, che l’ha denigrata, violentata verbalmente, sbugiardata e manipolato la sua vita perché perdesse consenso. Poi, ritenendo che non fosse abbastanza per fermare la sua voce, Anna è stata assassinata. Perché non togliesse più il cappuccio della penna e continuasse a denunciare quello che compiono i militari russi in Cecenia.

Anna e Roberto

Il parallelismo tra la giornalista e Roberto Saviano, che ha anche raccontato la sua storia nel volume “La Bellezza e l’Inferno”, è la terza chiave di lettura del romanzo. La macchina del fango, la potenza della parola e il destino di chi vuole difendere democrazia e libertà sono elementi comuni nell'esperienza dei due scrittori. Elementi comuni che è necessario trasformare in spunti di riflessione per chi crede ancora nella giustizia e nella non violenza.

E quindi, cosa può fare il lettore?

Pura violenza. Il male. L’ingiustizia. Noi che ogni anno ci raccogliamo il 27 gennaio attorno al ricordo della Shoah, meditiamo.
Perché non è tutto finito.
Perché i genocidi non sono racconti da chiudere nella scatola dei ricordi della Seconda Guerra Mondiale.
Meditiamo perché nel mondo esistono ancora situazioni così, a poche ore dai nostri comodi rifugi.


Meditiamo. Non dimentichiamo. Divulghiamo.

17 aprile 2016

Anna, Zlata e Lina



Ci sono libri che innervosiscono, che coinvolgono il tuo cuore in sensazioni tanto spiacevoli quanto necessarie. Sono i diari e le storie di guerra raccontate da bambine sensibili che dalla vita vogliono solo una cosa: essere felici. Alcune ci riescono, altre no. Tutte, però, rimangono impresse nella mente e nel cuore di chi scopre le loro storie.

La prima è Anna Frank che, con il suo diario e la sua vita, è ormai parte della storia.
Anna è una testimonianza fondamentale della seconda guerra mondiale, e voce di sensazioni e angosce di una bambina coinvolta suo malgrado nelle atrocità create dagli adulti.
E se il suo diario è una lettura fondamentale per giovani e meno giovani, altrettanto importante è visitare l'alloggio segreto ad Amsterdam. Le parole sulla carta non sono in grado di sconvolgere tanto quanto quelle stampate nella stanza dove Anna sognava un futuro migliore.

Durante la guerra in Jugoslava, un’altra bambina ha deciso di seguire le sue orme e descrivere, giorno dopo giorno, emozioni e fatti di questo conflitto attraverso il suo Diario di Zlata. Al quale domanda “Io amavo la mia infanzia e ora una terribile guerra mi sta portando via tutto. Perché?”. A Zlata Filipovic è stato riservato un destino migliore di Anna, anche se l’esperienza ha lasciato una traccia indelebile e una domanda che non ha mai trovato risposta.

Nel 2011 è poi arrivata Lina, protagonista del libro “Avevano Spento anche la Luna” di Ruta Sepetys. Personaggio di finzione, ma solo per alcuni versi. La figura della giovanissima bambina pittrice, deportata dalla Lituania a un campo di lavoro in Siberia nel ’40 dall'esercito russo, è l’emblema della silenziosa carneficina operata dai comunisti ai danni della popolazione lituana.
Una finzione simile a quelle di "Piccola Guerra Perfetta" di Elvira Dones ma viva e impressionante perché nata dall'accurata ricerca di storie vere della scrittrice.

Quello che è hanno in comune questi libri è il male. Il male che ha attraversato questo secolo assumendo forme diverse. Senza colori e bandiere, questo male non appartiene a una sola fascia politica o a un solo uomo, e si contrappone all'innocenza di bambine senza colpe. È un male che fa male.

E cosa possiamo fare noi, oltre a informarci, ricordare, amare e vivere al meglio la nostra vita?
Possiamo fare una cosa importante: scolpire nel cuore la frase di Otto Frank, papà (sopravvissuto) di Anna e autore della più toccante frase dedicata all'argomento:

"Non possiamo più cambiare quello che è avvenuto. L’unica cosa che possiamo fare è imparare dal passato e comprendere cosa voglia dire discriminare e perseguitare persone innocenti. Sono convinto che ognuno di noi abbia il dovere di lottare contro i pregiudizi."

13 aprile 2016

Stoner di John E. Williams

Di Stoner mi ricorderò l’intensa gioia del protagonista quando entrò in contatto per la prima volta con il mondo della letteratura; il profumo delle biblioteche, delle aule e dei libri; il senso di libertà provato durante ogni lettura.

Ricorderò anche la profonda onestà, goffaggine e purezza del protagonista, il suo essere "un buono"; la sua resistenza alle avversità; i suoi fallimenti, la sua capacità di restare sempre fedele a se stesso.

Ricorderò la bellissima relazione con  Katherine, quieta, ma profonda; la cattiveria insita nel cuore degli invidiosi e i pettegolezzi, che possono distruggere una vita.

Ricorderò la scrittura pacata e leggera; i continui naufragi del protagonista e l’arrivo in un porto sicuro, e porterò via con me l’idea che i libri possano davvero diventare un punto di riferimento per l’intera vita.

Di Stoner mi ricorderò la sua capacità di essere un libro perfetto in ogni dettaglio, e un protagonista affascinante. Perché Stoner è un libro, ed è anche un personaggio che vorresti abbracciare, salvare, consolare, scuotere. Un personaggio da ricordare, senza ombra di dubbio.

12 aprile 2016

Maternità travagliate: Oriana Fallaci e Margaret Mazzantini a confronto



Desiderare fortemente un figlio, tanto da essere disposti a tutto. Non poterlo avere, ma sentirsi talmente responsabili da doverlo spiegare attraverso un libro: Margaret Mazzantini e Oriana Fallaci, lontane e diverse, hanno trattato entrambe la maternità, dirigendosi in direzioni apparentemente opposte, ma in realtà accomunate da uno stesso intimo sentimento.

"Venuto al Mondo"e "Lettera a un bambino mai nato" raccontano infatti due decisioni diverse che hanno in comune la disperazione. Da un lato c’è il monologo di Oriana Fallaci, che narra il dramma di una gravidanza inaspettata, dall'altro c’è la Mazzantini che ricama una storia ossessivo-compulsiva sulla necessità di avere un figlio a tutti i costi.

In "Lettera a un Bambino mai nato", la protagonista si pone delle domande profonde che riguardano l’accettazione della maternità. Attraverso un toccante dialogo con il figlio, ricostruisce le paure, le gioie e i dubbi di una donna di fronte alla gravidanza e più in generale alla società.
Gli altri protagonisti, il medico, il padre del bambino, l’amica, i genitori e il datore di lavoro rappresentano il mondo con il quale la protagonista si confronta.
Nell'appassionante romanzo "Venuto al Mondo", la voce narrante racconta invece l’odissea affrontata per avere un figlio dall'uomo amato. Un figlio visto (un po' egoisticamente) come "frutto necessario” per sancire un legame profondo con il proprio uomo.

In questi libri "paralleli", la maternità dal momento del concepimento e la maternità immaginata sono legati virtualmente dalla descrizione dell’emozione che coinvolge le due donne. È un'emozione perfettamente descritta da parole toccanti e ricche di pathos. E il sentimento che coinvolge le due protagoniste si trasforma in una tempesta capace di scuotere anche l’animo del lettore, a prescindere dalla diversa storia narrata.

10 aprile 2016

Una cosa divertente che non farò mai più

Sono due le vacanze che non farei mai: una è quella che mi vedrebbe chiusa tra le quattro mura di un villaggio turistico, l’altra una crociera.

La stesse motivazioni per cui non salirei mai a bordo di una nave da crociera, le ho ritrovate in un testo inaspettato: il divertentissimo libro di David Foster Wallace, “Una cosa divertente che non farò mai più“.

Siamo nel “lontano” 1995 e la rivista Harper’s commissiona al futuro autore di “Infinte Jest” un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi. Il risultato è un libricino tanto piccolo quanto ricco e pungente.

“Una cosa divertente che non farò mai più” – e già il titolo anticipa gran parte del contenuto del libro – è un’esilarante e dettagliata cronaca in cui emerge tutto lo spirito di David Foster Wallace: la sua ironia, il suo cinismo, la sua bravura come scrittore, e anche la sua visione del mondo.

Lo sferzante racconto della settimana in crociera, nonché le maniacali note a piè pagina tipiche dello scrittore, ci regalano una perfetta sintesi del meraviglioso mondo di quelle vacanze dove divertirsi non è un obiettivo o una speranza, ma un obbligo.

Dai tipici comportamenti del turista americano alle ossessive premure di un equipaggio educato a coccolare i passeggeri, lo scrittore dà vita a un’analisi socio-psicologica che ha come protagonisti personaggi memorabili e situazioni disperatamente comiche. E, attraverso quest’accurata riflessione su una vacanza “allucinata”, l’autore partorisce una lucida riflessione sul turismo di massa, sull’uomo contemporaneo e sulla “fruizione passiva di un divertimento”.

In una crociera non c’è infatti spazio per la scelta, per le opinioni e per il proprio personale divertimento. Tutto è già organizzato, costruito e deciso. Da altri. Ai passeggeri non resta quindi che lasciare a casa il loro ruolo di partecipanti per trasformarsi in spettatori di una situazione preparata ad hoc da terzi.

Tra momenti di ilarità pura, risate e alcuni sorrisi a denti stretti, il libro si trasforma nell'analisi più attuale e vera di un fenomeno ancora vivo e vegeto. Perché nulla è cambiato nel mondo delle crociere, la finzione è ancora tutta lì.

08 aprile 2016

Purity di Franzen, dalla A alla Z


A
mori, a volte sereni, a volte impetuosi; Battaglie civili; Coscienza sporca; Demoni; Errori; la Famiglia, secondo Franzen; Un viaggio nella Germania dell'Est; Hacker e Ideologie; Legami, da mantenere o da recidere; Moralità; Nevrosi; Odio; PURITYQuesiti senza risposta; Responsabilità; la Scrittura, in tutto il suo splendore; Totalitarismi; l'Umanità e le sue mille facce; Verità; Web, Xenofilia, YTIRUP; Zavorre emotive.

07 aprile 2016

Lavoricidi, un libro che racconta il mondo del lavoro

Combattere e denunciare la precarietà del mondo del lavoro usando uno strumento che resta per sempre: un libro. È questa l’idea dei quindici giovani marchigiani che hanno creato Lavoricidi, un romanzo-progetto corale che non passa certo inosservato.

Lavoricidi cattura l'attenzione perché usa la forma del romanzo per raccontare ciò che sappiamo e vediamo attorno a noi. Ma è soprattutto un volume che rimane nelle nostre librerie personali, per ricordarci qual è il confine tra giusto e sbagliato e cosa significa far valere la propria dignità.
Lavoricidi è un libro speciale per tre motivi: per il titolo perfetto, perché marchigiano (quindi molto vicino a noi) e perché fa luce su un problema fondamentale in Italia: il mondo del lavoro.

Come Amelie Nothomb ha raccontato (in "Stupore e Tremori") i lati oscuri del mondo del lavoro giapponese, così gli autori di Lavoricidi narrano storie che riflettono la situazione italiana in maniera nitida e realistica. Da chi deve alleggerire il curriculum per ottenere un posto fisso come commesso a una serie di colloqui che culminano in proposte offensive, fino ad arrivare all'ultimo racconto, in cui la precarietà diventa emblema della condizione umana.

Leggere questo libro è faticoso, soprattutto perché rischi di affezionarti a ognuno dei quindici personaggi. Tanto che vorresti essere lì assieme a loro a sbattere un pugno in faccia a certi responsabili delle risorse umane e gridare con loro: "non calpestare la mia dignità", "riesci ancora a guardarti allo specchio la mattina?" "e se ci fosse suo figlio al mio posto?".

"Nessuno di loro sa di essere schiavo" dice la quarta di copertina del libro. "Nessuno di loro sa essere schiavo", oserei aggiungere. Tutelare la propria dignità è infatti il messaggio positivo che emerge dalle pagine di Lavoricidi, un messaggio che non deve essere mai precario.

04 aprile 2016

Esercizi sulla madre

"Esercizi sulla madre" è un affascinante libro scritto da Luigi Romolo Carrino. Un romanzo visivo, un romanzo di sensazioni. Un vero e proprio esercizio di stile.

Originale nella storia e altamente curato dal punto di vista della scrittura, Esercizi sulla madre è una grande scoperta che ruota attorno al tema dell’abbandono.
Il protagonista, rinchiuso in un ospedale psichiatrico, rivive ogni anno la notte in cui la madre l’ha abbandonato e, all'età di 42 anni, sceglie di dipingere con le parole 10 madri, una per ogni ora passata dall'abbandono.

Alle 10 madri che sfilano in quella notte drammatica si sovrappongono le 10 tavole Rorschach e la scrittura prende una forma visiva, immaginaria, surreale.

10 madri, 10 tavole, 10 ore, 10 modi di rappresentare la maternità. Le 10 madri si susseguono in una notte che, più che rivelare apertamente cosa è successo, accompagna il lettore in un viaggio alla scoperta di sensazioni ed emozioni legate ai lati nascosti della maternità.

Esercizi sulla madre è un’idea suggestiva arricchita da una scrittura sperimentale e visiva che evoca le stesse sensazioni di un film di David Lynch.

In questo romanzo, il lettore è travolto dalle parole e dalle immagini che esse evocano. E la storia, con il suo significato, prende forma nella sua mente e viene “ricostruita” proprio sintetizzando parole, immagini e sensazioni.

Come in un romanzo di Murakami, ma a un livello ancora più astratto e complesso, il fulcro chiave del romanzo è che il lettore è parte attiva della storia. È il lettore stesso a dare il proprio senso alla storia o, ancora meglio, abbandonarsi a essa.

E il risultato è un’opera che turba e ipnotizza, sia per la sua bellezza poetica sia la sua spietatezza. Il risultato è un romanzo ricco, un romanzo differente. Forse per questo rifiutato dalle principali case editrici italiane che si accontentano di proporre ai lettori letture più facili e banali.

03 aprile 2016

Storia di un corpo di Daniel Pennac



Il corpo. Testimone di avvenimenti e registro di cambiamenti, espressione di passioni e amplificatore di emozioni. Da quando nasciamo a quando moriamo, le cellule del nostro corpo raccontano – meglio di chiunque altro – la nostra vita.

Il corpo può ribellarsi allo stile di vita contemporaneo, come nel caso di Ipocondria Fantastica di Marina Mander oppure può diventare lo spunto per cambiare le cose in meglio, come successo per Il corpo delle donne di Lorella Zanardo.
In ogni caso, è un messaggero fondamentale, che ci guida e rappresenta in ogni istante della nostra esistenza.

L’ultimo libro di Daniel Pennac è, in questo senso, un piccolo capolavoro narrativo reale e corporeo.
Un diario curioso e appassionato che il protagonista, non a caso anonimo, lascia come testamento-eredità alla propria figlia.

Storia di un corpo è una cronaca raccontata dal punto di vista della fisicità, dall’età di dodici anni alla morte.
Una storia semplice, come tante, dove i cambiamenti del corpo registrano e raccontano quello che accade al protagonista durante la sua lunga vita.

Mentre i cinque sensi si trasformano in strumento per esplorare la realtà che lo circonda, passioni e turbamenti emotivi, malesseri e piccoli incidenti diventano l’espressione di un’avventura lunga una vita. E il rapporto con il corpo diventa per il protagonista il modo per relazionarsi con il mondo e raccontare, a posteri e non, la sua esistenza.

Voci, odori, suoni, sapori e contatti tattili. Cambiamenti fisici, amori, atti sessuali, malattie, cicatrici, accelerazioni, rallentamenti. Tutto nel libro di Pennac si mescola per dar vita a un libro che è testimone assoluto di ogni vita umana.

24 marzo 2016

Pianeti di Dava Sobel: un sorprendente viaggio tra le meraviglie del cosmo



C’è tanta magia in questo breve libro, in ognuna delle sue 180 pagine, in ogni periodo e in ogni parola. C’è poesia nella sua scrittura, perché nulla è lasciato al caso, e ogni parola sembra studiata per raggiungere quell'armonia perfetta che solo l’Universo è in grado di esprimere.

"Pianeti" di Dava Sobel è bello, proprio come un cielo stellato.
I nove pianeti, più la nostra stella e il nostro amato satellite, prendono vita, si trasformano, si raccontano. Ci guidano alla scoperta dei processi fisici del nostro cosmo e della nostra origine. Ed è così che possiamo incontrare le Lune di Giove, volteggiare tra gli anelli di Saturno, ascoltare la storia del meteorite marziano che ha scelto la nostra terra come sua ultima dimora e lasciarci avvolgere dalla musica delle sfere. Ma non solo: possiamo anche esplorare le vite dei grandi scienziati e scoprire i contributi di letterati e musicisti nell'esplorazione dei misteri dell’Universo.

L’astronomia e l’astrofisica, l’astrologia e la tecnologia, la cultura, la storia e le missioni spaziali sono i contenuti che arricchiscono il libro, mentre la forma ricorda l’inafferrabile bellezza dei grandi classici.

Venere, l’amore, la bellezza e l’orbita pari alla gestazione umana; Saturno e la musica; la luna, la pazzia e l’invidia del nostro arido satellite nei confronti di un mondo ricco d’acqua: ogni capitolo del libro è dedicato a un corpo celeste collegato a un tema ben preciso sviluppato da una storia che è un piacere leggere.

Non mancano ovviamente specifiche più scientifiche sulla nascita e composizione dei nove pianeti. Per questo, Pianeti di Dava Sobel soddisfa perfettamente la nostra sete di conoscenza e di bellezza.

22 marzo 2016

Underground with Murakami

Una vita passata a leggere manga ha provocato in me un effetto collaterale presente ancora oggi: un grande amore per la cultura giapponese. Nel tentativo di non tradire mai questa passione, ho dedicato i miei ultimi ad alcuni autori contemporanei, tra cui Haruki Murakami.

Scrittore completo, realistico e allo stesso tempo onirico e fantasioso, rende giustizia alla cultura giapponese superando di gran lunga l’ormai banale positivismo di Banana Yoshimoto.

Dotato di una scrittura intelligente, capace di scegliere temi profondi e analizzarli con concretezza, Murakami riesce a raccontare le sue storie componendo con le parole. Le sue frasi diventano spartiti perfettamente incastrati tra loro che raccontano i vari lati della vita giapponese. Ed è proprio grazie a questa capacità che Murakami è riuscito anche a scrivere un libro come Underground.

Questo libro non è un romanzo, ma un saggio-intervista che racconta gli attentati alla metropolitana di Tokyo del 1995, quando i membri della setta giapponese Aum Shinrikyo hanno diffuso gas nervino nei scomparti dei treni durante l’ora di punta. L’attentato uccise 12 persone, intossicandone poi migliaia.

Murakami, spinto da una voglia di indagare la realtà dei fatti approfondisce l’avvenimento intervistando sia le persone che hanno subito l’attentato che alcuni esponenti della setta stessa.

Il libro si divide infatti in due parti: la prima, a sua volta divisa in cinque parti come le cinque linee colpite, racconta il punto di vista delle vittime. La seconda è invece dedicata agli ex-adepti di Aum Shinrikyo.
Comprensione ed empatia caratterizzano la prima parte, mentre rabbia, incapacità di comprendere e allo stesso tempo una velata umanità sono i punti chiave della seconda.

Di fronte agli ex-membri della setta, lo scrittore è quasi più arrabbiato perché non soddisfa la sua sete di comprensione, ma allo stesso tempo comprende che queste storie hanno in comune un forte disagio nei confronti della società che viene colmato dal ruolo che svolge il fanatismo religioso.

Le descrizioni minuziose e i racconti ricchi di spunti permettono a Murakami di approfondire i lati negativi della società giapponese, il ruolo della religione, i livelli di responsabilità e anche criticare i sistemi del paese, dai trasporti alla sanità fino ad arrivare ai mass media. E non solo, l’esperienza delle vittime permette di capire meglio la vita di un giapponese medio, il suo modo di vedere il mondo e di vivere gli avvenimenti.

Tanti approfondimenti che non chiudono la vicenda, ma che lasciano un finale quasi aperto che può essere colmato solo dalle riflessioni del lettore. Perché, per quanto il gesto sia sempre e comunque ingiustificabile, in questo e in altri casi esistono sempre dei sentori (la sete di potere dei governi e il loro finto interesse per il popolo, i numerosi problemi della società, l'arroganza delle religioni che vogliono imporre il loro credo, fisicamente o psicologicamente; il disagio dei giovani) che troppo spesso sono ignorati.

21 marzo 2016

Diversamente disabili: due libri che parlano di handicap

La disabilità di un figlio vista con gli occhi del padre e le disabilità di donne e uomini viste attraverso le loro esperienze.
Handicap differenti che generano emozioni differenti. Tutte reali, tutte da analizzare.

Da un lato c’è la voglia di combattere contro tutto e tutti, volontà resa possibile solo dal tipo di handicap capitato. Dall'altro lato c’è impotenza e rabbia disperata, da non confondere con l’egoismo.

Nel libro "Zigulì", Massimiliano Verga punta letteralmente un faro su noi tutti. E ci racconta, attraverso le sue parole – a volte disperate, a volte ironiche, a volte profondamente arrabbiate – quanto possa essere difficile convivere con un figlio disabile.

Le pagine si susseguono e le riflessioni assumono dei contorni talmente reali che superano ogni ipocrisia. La convivenza tra Verga e il figlio dal "cervello grosso quanto una zigulì" non ha un perché e nemmeno una soluzione. Diventa semplicemente un susseguirsi di azioni abituali che non portano a nulla ma che il padre vorrebbe portassero a qualcosa. Una storia disperata tanto vera e reale che scuote.

Verga non opta per "i figli sono comunque sempre un dono", ma spiega e giustifica il suo dolore, la sua impotenza e la sua rabbia di fronte allo stato psico-fisico compromesso del figlio. Una testimonianza importante che apre gli occhi più di quanto potrebbe fare qualsiasi altro racconto, consiglio, o storia "per sentito dire".

Stessa tematica in parte, altro modo di affrontarla, è quella del libro "E li chiamano disabili" di Candido Cannavò. Sedici le storie di questo volume, che racconta di uomini e donne ciechi dalla nascita, costretti sulla sedia a rotelle o senza braccia come la ballerina e pittrice Simona Atzori.

Vite difficili e complesse affrontate con coraggio e forza vitale che hanno portato queste sedici persone a fare della lotta per raggiungere i propri obiettivi la loro ragione di vita.
Ma forse è proprio questo il punto comune di questi libri: la forza.
Forza come capacità di affrontare le difficoltà.
Forza come rabbia verso una situazione incomprensibile.
Forza come voglia di esprimere attraverso un libro tutte le proprie emozioni.
Forza come coraggio nel continuare ad assumersi delle responsabilità sperando, anche debolmente, in qualcosa.
E questo vale anche per Verga.