Cerca nel blog

29 maggio 2016

Lolita dov'è?


Lolita la potete trovare in tanti luoghi. Distanti, diversi, ma forse in realtà molto simili.
Lolita è nella provincia americana, che vaga tra le pagine del romanzo di Vladimir Vladimirovic Nabokov.
Lolita è in Iran, tra le mani di un gruppo di lettura semiclandestino.

Nella prima ambientazione, il romanzo di Nabokov, c’è una ragazza minorenne circuita da un adulto. Nella seconda, il libro Leggere Lolita a Teheran, lo stesso personaggio si trasforma in metafora e riscatto per un gruppo di donne nella sua stessa condizione.

L’opera di Azar Nafisi è basata su fatti realmente accaduti. La protagonista è l’autrice del libro, docente di letteratura inglese che decide di spiegare a un gruppo di studenti la letteratura occidentale, e con essa esorcizzare i lati negativi della cultura islamica.

Il parallelismo traspare in modo lucido: Lolita è debole, e questo la rende vittima, prigioniera di un carnefice che le ruba l’infanzia e le nega ogni possibilità di scelta.
Anche il popolo iraniano è vittima di un regime che vuole imporre la sua volontà, che immagina donne come prodotto del suo sogno e le rinchiude in prigioni. E non sempre le sbarre non sono visibili, spesso si tramutano in soprusi nati da una ciocca di capelli che scivola fuori dal velo o dalle unghie laccate di rosso.

Messaggio altrettanto importante è che i mostri possono camuffarsi sotto le mentite spoglie di chi pensa di fare del bene (Humbert) e di chi dice di proseguire il messaggio di Dio (l’Ayatollah).

La letteratura diventa nel libro l’essenza della democrazia e dell’indipendenza e il personaggio di Lolita produce quindi un grido di libertà, riscattando la ragazza del romanzo di Nabokov che non ha saputo difendersi.
C’è anche un terzo luogo dove è possibile trovare Lolita.

Nell’attualità di un paese. Dove un politico, proprio come Humbert, cerca di convincere l’opinione pubblica dei suoi sentimenti puri, giustificando le sue azioni con la scusa del fare del bene.

27 maggio 2016

L'amica geniale di Elena Ferrante

Mi ha seguito a lungo questo romanzo, ma io non ho mai risposto al suo richiamo. Perché? Perché non mi piacciono i libri di cui si parla troppo e a sproposito. Alle letture di tutti preferisco i romanzi poco conosciuti, che appaiono ai miei occhi fragili e indifesi. Quindi da adottare.

Tuttavia, nel libro di Elena Ferrante c'è molto più degli inutili pettegolezzi sulla sua identità. Questo libro, storia di un'amicizia lunga oltre sessant'anni, esercita una forte attrazione sul lettore, attrazione che solo i grandi romanzi sono capaci di generare.

Al centro della saga ci sono Raffaella ed Elena, ovvero Lila e Lenuccia, due amiche che si muovono tra le strade di un arido rione napoletano circondate da un pubblico di personaggi memorabili.
Lila ha un carattere forte, tanti talenti innati e una storia inquieta, Lenuccia vive nell'ombra dell'amica e deve trovare la sua strada. Crescono, scoprono successi e delusioni, trovano l'amore e fanno scelte. Prendono strade diverse ma parallele, restando unite da un legame impossibile da spezzare. Ed è Elena a raccontarci la storia di questa profonda amicizia, che nasce e cresce all'ombra dei cambiamenti che investono il tessuto sociale del rione in oltre cinquant'anni.

In questo primo libro di una saga lunga quattro volumi ci sono splendidi personaggi con tutte le loro passioni. C'è una caratterizzazione forte e precisa della loro umanità: mentre aspettavo che Lenuccia, alla quale mi sono affezionata da subito, trovasse la sua strada e definisse la sua personalità, ho provato profondo affetto anche per Lila. Così diversa, speciale e ben descritta, tanto che mi era quasi possibile anticiparne i comportamenti.

Nell'amica geniale c'è poi anche la strada, la polvere, lo sporco. La stessa amicizia tra Lila e Lenuccia è spesso cruda e carnale. Fatta di alti e bassi, di amore e odio, di condivisione e gelosia, di cattiverie e solidarietà. Un vortice di sentimenti positivi e negativi che, attraverso una prosa delicata e reale che in certi punti meraviglia e in altri scuote, traccia i contorni di un legame che sa di vita vera.

Scossa da tutta questa bellezza, sono arrivata alla fine del primo volume che già pensavo al secondo. Lasciare questi personaggi? Impossibile. Veloce corsa quindi in libreria, aspettando nuove pagine e scrutando con curiosità i titoli dei capitoli alla ricerca di anticipazioni della trama.
E alla fine, mossa da questa febbrile voglia di continuare a far parte di questo mondo, ho capito sulla mia pelle perché la Ferrante incanta.

22 maggio 2016

Dai diamanti non nasce niente: storie di giardini, storie di resistenza

Paradiso perduto, simbolo di perfezione, luogo in cui formare sentimenti nobili come la cura e la pazienza, spazio per abituare gli occhi alla bellezza e per curare le ferite dell’animo.

Il giardino, con le sue piante e i suoi fiori, racchiude ed esprime numerosi significati positivi.
Serena Dandini li ha tutti riuniti nel suo libro, “Dai diamanti non nasce niente”, un curioso viaggio attraverso citazioni e riflessioni legate da un unico filo rosso, anzi verde.

Dalla rappresentazione dell’Eden nelle pagine della Bibbia, ai racconti storici che vedono protagonista Alessandro I o Monet, la conduttrice-scrittrice ci porta alla scoperta di giardini, veri e immaginati, più belli del mondo. E arricchisce questa trasferta con aneddoti musicali, letterari, cinematografici, storici e di attualità.

Sono infatti tantissimi i personaggi reali e non che popolano il romanzo: da Virginia Woolf ai Beatles, passando per Alice, gli Impressionisti, Emily Dickinson, Goethe e anche Rossella O’Hara.
Il risultato è prima di tutto un’opera che soddisfa l’interesse di chi legge libri perché ha un animo desideroso di sapere. Pagina dopo pagina, si scoprono le motivazioni che legano questi personaggi a piante e fiori, si svelano storie di vita, si ricordano viaggi, e si scopre come opere pittoriche e musicali siano nate per esprimere l’amore nei confronti della natura. Il libro nasce, cresce, si arrampica e coinvolge il lettore in un concentrato di informazioni e curiosità.

Il volume non si limita però a offrirci un momento di svago e conoscenza. Le sue pagine diventano l’occasione per lanciare anche un importante messaggio invitando a fermarci per riacquistare la vista e ritornare a vedere la bellezza del paesaggio.
Dice la scrittrice: “Se guardiamo un panorama in tv lo ammiriamo estasiati invece nel mondo reale siamo spesso distratti”. Distratti da cosa? Da telefonini, app, navigatori e altra tecnologia, utile ma allo stesso tempo abbandonabile per riposare gli occhi e ritrovare se stessi attraverso il contatto con la terra.

E non solo, il giardino è inteso anche come miglioramento: se si impara ad avere cura delle piante, sarà più facile avere cura e rispettare persone e cose che ci circondano e, ancora più in generale, curare i propri sogni. L’attenzione nei confronti del verde è una scuola di formazione che permette di coltivare il sentimento della cura e trasformarlo in una forma di rieducazione alla pazienza. Oggi se la nostra connessione internet è lenta ci spazientiamo, mentre con il giardinaggio e la coltivazione di fiori, piante e ortaggi, possiamo imparare ad aspettare, a vivere il tempo normalmente e anche a non arrenderci di fronte alle sconfitte… ovvero resistere!

Riacquistare la vista e rendere il nostro tempo migliore non è cosa da poco. Iniziamo da questo libro.

15 maggio 2016

La sua danza: a tu per tu con Rudolf Nureyev

A parte poche eccezioni rappresentate da libri come "Open" di Andre Agassi, non mi piacciono le biografie o le storie di personaggi celebri. Nemmeno quelle non ufficiali o in forma romanzata.
Le ho sempre trovate poco appassionanti e coinvolgenti, e il buon proposito di affrontarle si è sempre infranto dopo poche pagine.

Con "La sua danza" ho scoperto che leggere la storia di un personaggio famoso non è sempre qualcosa di noioso e lungo. Che dipenda dal personaggio in questione? Probabile.

Il libro ha per protagonista Rudolf Nureyev, il ballerino russo morto di Aids a soli 55 anni, e diventato icona irraggiungibile della danza.
La sua storia inizia in Russia nel 1941, quando nel reparto d’ospedale il giovane Rudik salta, vola e piroetta di fronte ai soldati di ritorno dalla guerra.

Come in un balletto, le vicissitudini umane di Nureyev si susseguono con un ritmo brillante e preciso attraverso diversi punti di osservazione.

La fuga dal regime verso orizzonti più ampi, la descrizione di una Russia immobile, ma densa di poesia, la personalità complessa e umana di un uomo ossessionato, la droga e il sesso sono alcune delle tematiche raccontate da un coro di personaggi che danno voce ai vari lati – sentimentale, artistico, sociale, politico e omosessuale – del ballerino.
Queste voci sono la sorella Tamara, il marito della sua prima insegnante di ballo, la loro figlia Julia, ma anche Andy Warhol e Margot Fonteyn.

Il pioniere della danza viene così messo a nudo da questa polifonia e dalla scrittura di Colum McCann, offrendoci molti spunti da ricordare.

Nureyev rappresenta una vita dedicata alla disciplina e alla voglia di raggiungere cime inaspettate.
Nureyev rappresenta la voglia di libertà e cambiamento attraverso la danza, che è già un modo metaforico di plasmare lo spazio.
Nureyev rappresenta la bellezza della danza e la fragilità di una persona reale che, come tutti noi, commette degli errori. Che paga molto cari.

Emozioni, azioni, scelte diventano il combustibile che muove i passi feroci di Nureyev, e a sua volta i passi della sua danza si trasformano in modo per raccontare gioia, ribellione e disperazione.
E tutto questo la scrittura dell’irlandese Colum McCann lo racconta benissimo.
Amavo la danza, ma dopo questo libro l’amo ancora di più.

10 maggio 2016

I Quaderni Giapponesi di Igort

Il tuo cuore accelera quando si nomina il Giappone? I manga hanno invaso scaffali, mensole, mobiletti e anche scarpiere? Sogni di avere un vicino che si chiama Totoro?
Se la risposta (a una o a tutte e tre le domande) è sì, abbiamo qualcosa in comune e un libro da conservare con cura nelle nostre librerie: Quaderni Giapponesi di Igort.

Il succo del libro è questo: Igort ci porta tra le bellezze della terra nipponica, senza un viaggio di dodici ore. Ci porta tra le minuscole stradine giapponesi, nelle tavole calde, negli uffici e ci presenta usi, tradizioni e miti di questo straordinario paese. Ci porta in viaggio per raccontarci una parte importante della sua vita e la realizzazione di un sogno: lavorare nel Sol Levante. Tra le sue pagine e i suoi disegni, trova infatti ampio spazio il rapporto lavorativo di sei mesi con la casa editrice Kodansha che, a partire dagli anni '90, concesse a fumettisti e studiosi occidentali la possibilità di trascorrere del tempo in Giappone.

Quaderni Giapponesi, però, non è solo il viaggio di un disegnatore nel paradiso dei disegnatori, ma una ricchissima esperienza multi sensoriale. Per chi ama il Giappone, o semplicemente per chi ha un carattere curioso, non è difficile lasciarsi avvolgere dai colori, dagli odori e dai rumori evocati dai tratti di Igort. Non mancano poi innumerevoli personaggi del passato e del presente che, con le loro storie, fanno capolino tra le suggestive pagine del libro.

La matita di Igort riesce con sublime maestria a raccontare tutte le sfumature del Giappone, adattandosi perfettamente a ogni situazione. A volte il disegno è minimale e privilegia il bianco e nero, altre volte i colori emergono con forza per richiamare la bellezza degli scorci giapponesi. Il tutto mentre digressioni iconografiche che riprendono stampe Ukiyoe, inquadrature di film nipponici e fotografie reali regalano alla graphic novel una connotazione ancora più ampia e ricca.

Questo connubio di stili e contenuti differenti dà vita a un grande affresco dove la potenza del fumetto si combina con le storie e le tradizioni di quell'impero dei sogni dove grazia e bellezza affascinano l'occidente sin dall'ottocento. Per questo e per tanto altro, Quaderni Giapponesi è una lettura fondamentale per filo-nipponici e per appassionati di storia del fumetto e dell'animazione.

Per saperne di più: igort.com/ - fandangoeditore.it/shop/coconino-press/quaderni-giapponesi/

08 maggio 2016

Confessioni di un sicario dell'economia


Come si fa a ribellarsi a un sistema che sembra darci una casa, cibo e vestiti, elettricità e assistenza sanitaria, pur sapendo che quel sistema crea anche un mondo dove ventiquattromila persone muoiono di fame ogni giorno e altri milioni ci odiano?

Alcuni libri ci intrattengono, altri ci fanno viaggiare con l’immaginazione, altri ancora ci raccontano storie di vita da cui possiamo trarre spunti e insegnamenti utili per affrontare i problemi quotidiani.
Esistono però dei libri che nascono per aiutare il lettore a interpretare il mondo che lo circonda e, soprattutto, sviluppare opinioni personali in grado di farlo vivere con più consapevolezza.

Il libro di John Perkins appartiene a questa categoria. “Confessioni di un sicario dell’economia” è un testo lucido, chiaro e semplice, capace di mantenere viva l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima riga.
Non è un’opera per chi ama i complotti, ma un diario mozzafiato che racconta una verità pesante. Una realtà che facciamo finta di non vedere perché anche noi siamo ancora succubi dell’apparenza e schiavi del “sogno americano“.

Attraverso una scrittura fluida e lucida, e allo stesso tempo chiara, John Perkins espia le colpe del suo passato denunciando quello che ha fatto e visto e raccontando al mondo la sua vita “da sicario”.

I sicari dell’economia americani, di cui John Perkins faceva parte, sono professionisti che, attraverso previsioni economiche per lo più falsificate invogliano i leader di diverse nazioni (in passato Iran, Indonesia, Panama e Arabia Saudita) a dar vita a grandi e ambiziosi progetti “di sviluppo”.

Fingendo di voler esportare la loro democrazia, la loro cultura e il loro stile di vita (come ha raccontato anche Massimo Fini nel Vizio Oscuro dell’occidente) gli Stati Uniti convincono i leader dei paesi che considerano “sottosviluppati” a chiedere prestiti che non saranno mai in grado di restituire.
Chi si rifiuta di cedere alla trasformazione del suo paese in clone del “americano” viene, semplicemente, eliminato. Chi accetta diventa “colonia”.

In sintesi,  i “sicari” sono gli esecutori di un progetto che ha come obiettivo il trasformare gli USA in impero mondiale. Ma la sintesi non basta per spiegare appieno tutti i meccanismi di questo sistema, quanti orrori nasconda e cosa possiamo fare noi per cambiarlo. Per avere queste informazioni bisogna leggere l’intero libro.

Confessioni di un sicario dell’economia è un libro molto difficile da digerire. Un “Gomorra” americano. Con la differenza che, mentre in Italia conosciamo benissimo il potere delle mafie e siamo consapevoli della sua presenza, nel libro di Perkins è raccontata una storia che troppi non hanno sentito o non vogliono sentire.

02 maggio 2016

Israele e Palestina: due libri da leggere

Palestina e Israele. Israele e Palestina. Non dovrebbero essere due squadre di calcio, ma dai più vengono trattate come tali. Non dovrebbero dividere il mondo in due fazioni che simpatizzano per una o per l'altra parte, ma lo fanno.
Io non tifo per nessuna delle due parti perché penso sia disumano e infantile schierarsi, soprattutto se parliamo di violenza ai danni degli innocenti. Quando a morire sono i civili, ogni parola diventa superflua e l'unica riflessione possibile è che la vendetta, una volta innescata, difficilmente può avere fine.

Della questione israelo-palestinese e di vendetta parlano anche due romanzi bellissimi: "Ogni mattina a Jenin" di Susan Abulhawa e "Vendetta" di George Jonas.

"Ogni mattina a Jenin" è una struggente saga familiare che racconta la storia di una famiglia araba costretta a lasciare la sua casa natale a Ein Hod per il campo profughi di Jenin e a subire, per oltre sessant'anni, violenze e soprusi da parte dell’esercito israeliano.
Non è una storia vera ma, come suggerisce l’autrice, i fatti e i dati raccontati purtroppo lo solo.
La famiglia di Amal, la protagonista del romanzo, diventa così l'emblema di tutte le famiglie palestinesi e la rappresentazione del dolore fisico e mentale delle vittime di ogni guerra.
Nelle pagine di "Ogni mattina a Jenin", è come se i palestinesi pagassero per tutto quello che hanno subito gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Come se il male dovesse per forza essere esorcizzato con altro male.

Questo concetto della circolarità del male lo ritroviamo anche in "Vendetta" di George Jonas (NDR. da cui Spielberg ha tratto il bellissimo film "Munich"). Tutto inizia il 5 settembre 1972, quando un commando palestinese di Settembre Nero fa irruzione nel villaggio olimpico di Monaco e sequestra alcuni atleti israeliani. Il risultato è un bagno di sangue.
Viene così organizzato un gruppo con il compito di dare la caccia ai terroristi responsabili della strage. A ogni costo.
La ricerca innesca però un'altra ricerca, e gli inseguitori si ritrovano inseguiti da un commando palestinese, in una girandola senza fine.

Se, anche in questo caso, il sentimento iniziale è rabbia e sdegno, proseguendo la lettura il punto di vista cambia.  Il libro, seguendo la storia del gruppo, indaga più profondamente le ragioni di entrambi i gruppi, e in generale il sentimento della vendetta e delle conseguenze a cui può portare: un circolo vizioso di violenza.
La vendetta è quindi rappresentata come un'eterna lotta tra un Davide e un Golia che si scambiano continuamente di posto: si comincia con una violenza intensa e tragica del forte ai danni del debole e si prosegue con l'ex debole che si trasforma a sua volta in forte.
Non è solo una storia che fa paura o una sequenza di fatti che disorienta, ma è la rappresentazione perfetta dell'attuale situazione geopolitica, dove si risponde ad atti di terrorismo con atti di terrorismo "necessari". Una risposta che per ora ha solo peggiorato la condizione del nostro mondo, che tanto si sente portatore di pace.