Classe 1957, Emmanuel Carrère è scrittore, sceneggiatore e regista francese. Oserei aggiungere: senza troppi peli sulla lingua.
"Vite che non sono la mia" è invece un suo libro - passato un po' in sordina - del 2009.
La sinossi è semplice: Carrère, in pochi mesi, assiste a due eventi drammatici che lo sconvolgono. Vittime due Juliette, una bambina morta durante lo Tsunami del 2004 e un'indomita donna impegnata in una battaglia contro il cancro.
La prima si trovava in Sri Lanka in vacanza mentre anche lo scrittore era lì, la seconda faceva il giudice ed era la cognata di Carrère.
Lo scrittore diventa quindi involontario testimone di due eventi che da sempre lo spaventano: la morte di un figlio per i suoi genitori e la morte di una madre per la sua famiglia.
Mosso da un suggerimento che diventa presto obbligo morale, l'autore trasforma le due storie di dolore e morte in un romanzo unico. Perché questo è Carrère: un autore capace di esprimere con una scrittura trasparente e affilata tutte le luci e le ombre della realtà.
"È un libro" - come ha detto l'autore - "dove tutto è vero". E per questo risulta essere così potente, per questo riesce a colpire in modo così forte.
Tra le pagine di questo intimo romanzo le storie crescono e si arricchiscono, e le situazioni miste a parole taglienti avvolgono e frastornano il lettore.
La vita, in tutta la sua altalenante potenza, si cristallizza nella scrittura e nel voyeurismo tipico di Emmanuel Carrère che trova finalmente la sua funzione: analizzare, sminuzzare e portare alla vera essenza la sofferenza.
Così il dolore - elemento inevitabile della vita - trova finalmente pace tra le pagine di un racconto. A dimostrazione di quanto la scrittura abbia un potere esorcizzante. Per chi scrive e chi legge.