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31 gennaio 2016

La famiglia secondo Jonathan Franzen e Alice Munro

Da un lato c’è Alice Munro, dall’altra Jonathan Franzen. Lei è canadese, lui è americano. Lei è una donna, Lui è un uomo.
Entrambi raccontano i lati oscuri delle famiglie.
Entrambi ci spiegano come a volte non esistano correzioni ai legami familiari.
Cosa mi consente di paragonare l’autore de “Le Correzioni” alla creatrice di “Nemico, Amico, Amante”?
Una cosa sola: la sensazione provata del leggere i loro libri.

In “Nemico, Amico, Amante”, romanzo di Alice Munro composto da nove racconti, si raccontano nove rapporti umani.
Storie semplici, quotidiane, chiare, ma allo stesso tempo intense e a volte drammatiche, come solo possono essere i rapporti affettivi all'interno delle famiglie.
Incomprensioni, incompatibilità caratteriali, scelte di vita diverse, tradimenti, l’effetto di una malattia sugli equilibri dei rapporti: nessuna trama da fuoco d’artificio, nessuna storia fantascientifica, solo tematiche normali e la realtà della natura umana nuda e cruda.

Emozioni che rimandano proprio a “Le Correzioni” (e anche a “Libertà”) di Jonathan Franzen.
Un meraviglioso libro corale per la forma, ma non corale nel contenuto. Ogni personaggio del romanzo – la coppia Albert ed Enid, i figli Chip, Gary e Denise – è infatti solo, con il suo malessere e i suoi problemi. E l’imposizione di un ultimo pranzo di Natale insieme non cambia e non accenna a far superare i rapporti tesi e problematici all'interno e fuori della famiglia.

Sono questi i lati più veri dei romanzi: comprendere i limiti dei rapporti familiari e accettarli.
I finali di entrambi i libri possono disorientare i più felici, ma sono veri. Dicono quello che spesso nel mondo d'oggi fa parte dell'indicibile.

Le situazioni a volte non solo non possono cambiare, ma l’infelicità insita nei rapporti familiari potrebbe non essere sanata, anzi è spesso sbagliato pretendere che lo sia.

29 gennaio 2016

L'acido solforico di Amèlie Nothomb

"Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo".
Cosa potrebbe succedere se un giorno, per una questione di share, un reality arrivasse all'eliminazione fisica dei propri concorrenti? Se al pubblico non bastassero più liti e scandali? Se chiedesse di più?
A queste domande, che già odorano di realtà, risponde Amèlie Nothomb con il suo Acido Solforico.

Nel suo romanzo senza tempo, la scrittrice racconta di un mondo dove lo spettatore lascia che la televisione-spazzatura uccida la sua anima, portando il voyeurismo alle estreme conseguenze.

Acido Solforico è un libro che lascia interdetti, disgustati e tristi. Il reality ha un’ambientazione già di per sé forte: un campo di concentramento, dove gli spettatori prendono il posto dei Kapò e decidono la sorte dei partecipanti. La storia della protagonista è meno esaltante della violenta metafora scelta, ma ottiene l’effetto desiderato: la riflessione.

L’esperienza della trasmissione è descritta in modo forte, ma ancora più graffiante è la descrizione del pubblico televisivo dello show. L’asciutta scrittura della Nothomb si adatta perfettamente al contesto e crea un effetto poco romanzesco e molto reale.

Acido Solforico va letto ricordando la continua spettacolarizzazione del dolore e il fatto che, tra televisione e social media mal usati, violenza, odio e voyeurismo si spingano sempre di più oltre l'umana decenza. Come nel caso degli innumerevoli video postati dalle gang di bulli, che ottengono tantissime visualizzazioni.

Questo perché il pubblico ha bisogno di partecipare allo spettacolo e, poiché questa partecipazione rischia di consumarsi rapidamente, ha bisogno di stimoli sempre più forti, che lo eccitino, che lo sorprendano fino a coinvolgerlo direttamente.

Amèlie Nothomb è stata molto criticata per l’aver messo sullo stesso piano reality e shoah. Tale critica è condivisibile fino a un certo punto. Le metafore estreme, infatti, fanno meditare il lettore. D'altronde, qual è la distrazione che deriva dal rimanere incollati a vedere persone che litigano? A godere leggendo le litigate sui social? Ad appassionarsi a omicidi che riguardano giovani ragazze o bambine o aspettare la nuova cattiveria di Salvini o Adinolfi? È il male che attrae? La cattiveria umana?

Non sarebbe ora di dire basta?

28 gennaio 2016

Caffè a colazione

Caffè a colazione è un libro da avere, un volumetto unico e affascinante, realizzato dalla straordinaria Laura Scarpa.

Il libro raccoglie le delicate e soavi illustrazioni che la disegnatrice propone al suo affezionato pubblico ogni giorno nel suo blog omonimo.

Un diario fantastico e reale allo stesso tempo, che si trasforma in esempio perfetto della meravigliosa potenza e magia del disegno manuale.

Attraverso un disegno al giorno, Laura Scarpa racconta a volte la realtà quotidiana di Roma, altre volte viaggi o volti di persone, altre ancora storie, pensieri, riflessioni.
Ogni illustrazione incanta, rapisce e apre le porte della nostra immaginazione. Ogni frase racchiusa nel disegno custodisce poeticamente il senso dell’attimo fermato.

E quando i protagonisti diventano Peter Pan e Alice, le cui gesta si trasformano nell'occasione per spiegare i contorni della nostra società, la meraviglia dello sguardo è assoluta.

Al di là del valore dei contenuti dei disegni e testi, il lavoro di Laura Scarpa ha anche un significato più profondo perché sancisce l’insostituibilità della carta.

L’emozioni sono prodotte infatti dalla magia della disegno manuale. Nessun trucco artificiale, nessuna App e nessun programma di grafica  potrebbero infatti regalare un’emozione altrettanto grande.
Qui c’è solo carta – di blocco o Moleskine – e strumenti che stanno diventando antichi, penne, matite e colori.

Qui c’è solo carta, ma lo stupore per chi guarda è infinito.

27 gennaio 2016

Zonenkinder, ovvero la vita ai tempi della DDR



Nel 2013 ho dedicato la mia vacanza estiva a Berlino.
In questa città moderna e vibrante, sono tanti gli spazi dove è possibile toccare con mano La Storia. Dal Memoriale dedicato al Muro all’East Side Gallery, passando per il museo della DDR e quello della Stasi, visitare questa città è come prendere appuntamento con il passato. Un passato da toccare, osservare e approfondire.

Per questo, una volta tornata in Italia, ho sentito la necessità di indagare meglio un periodo di cui anche io sono stata testimone.

Tra i libri che più mi hanno colpito c’è "Zonenkinder. I figli della Germania scomparsa", un volume a metà tra saggio e autobiografia scritto da Jana Hensel.
Come la straordinaria graphic novel Marzi, questo libro scava in profondità e mostra al lettore la vita ai tempi del comunismo.

Estremamente preciso e ricco di aneddoti, nonché completo di note e informazioni (utili anche per chi non conosce la vita ai tempi del comunismo), questo volume è un racconto-viaggio alla scoperta di come si viveva prima e dopo la caduta del muro di Berlino.
Attraverso un interessante parallelo tra la DDR e la Germania di oggi si svelano differenze e si scoprono pregi e difetti di entrambe le epoche.
Ma manca una cosa: un finale felice.

Dopo l’89, gli ex-adolescenti e i loro genitori si ritrovano spaesati, senza più origini. Schiacciati da un mondo che, ancora oggi, non comprendono bene.
Il posto fisso è sostituito dalla precarietà, gli impegni e le attività di gruppo da pomeriggi in solitudine, il piacere di apprezzare le cose perché conquistate con fatica da un consumismo senza freni. E la sensazione, che emerge da parole e contenuti, esprime perfettamente lo smarrimento di questa generazione di persone.
Senza dimenticare le colpe del comunismo, leggere queste storie e i loro approfondimenti può essere molto utile. Per osservare la storia da un altro punto di vista e, soprattutto, riflettere meglio sulla società odierna.

D'altronde, tutto il senso del libro è racchiuso in una domanda presente nella prefazione: “Si può essere felici sotto una dittatura?”. E la risposta è sì. Perché un bambino non vede la realtà in modo ideologico. E perché la realtà non ha mai una faccia sola.

25 gennaio 2016

Un bagaglio scomodo ovvero storia di un'incontinenza emozionale



E poi un giorno incontri un libro. Toccante, vero e ricco di sensazioni. E scopri che può esistere l’incontinenza emozionale. E tocchi con mano un mondo che conoscevi solo per sentito dire e che attraverso una scrittura altamente emozionale ti viene svelato.

Ad aprirti le porte di questa realtà, una sentita prefazione di Don Andrea Gallo, da sempre vicino agli ultimi. Sono sue le parole che introducono il “Bagaglio scomodo” di Antonio Garibba, pesarese di adozione.

Questo libro è la storia di una vita, di una caduta e di una rinascita. La voce di un uomo che si trasforma nella voce di tanti uomini e donne che hanno come unica colpa l’essere più sensibili degli altri.
Quello che Antonio Garibba ci regala è il reportage di un viaggio nel mondo della droga e dell’alcol.
Un percorso che ha un’andata e, fortunatamente, un ritorno.

Un bagaglio scomodo è la storia di una persona che vive la sua vita in modo totalmente “emozionale” e ci accompagna attraverso la sua vita: dalle passioni politiche degli anni ’60 e ’70 al mondo dissoluto della droga e dell’alcol, fino all'esperienza in comunità e alla rinascita.
Il risultato è un diario-ritratto di tutte quelle emozioni che possono portare all'autodistruzione.

E tu che leggi puoi comprendere da vicino cosa succede nella testa di una persona “malata” di alcolismo.

E scopri che ad ammalarsi sono le persone più ricche dentro, più sensibili. Perché “il problema” di Antonio, troppo taciuto in una società che poggia sulla filosofia di essere sempre giovani, belli e pronti per il divertimento, è in realtà il riflesso della condizione umana odierna, sempre più in crisi a causa di una realtà ogni giorno più complessa e slegata dalle “cose che contano”.
Per questo quando finisci questo libro ti senti davvero arricchito.

22 gennaio 2016

Memorie giapponesi

Delicati come fiori di ciliegio e avvolgenti come un bagno alle terme: “Neve Sottile” di Jun’ichirō Tanizaki, “Io sono un gatto” di Soseki Natsume e “Memoria di una Geisha” di Arthur Golden sono tre gioielli che raccontano l’atmosfera di un paese ricco di contenuti.

Tre libri, meravigliosamente descritti, che non possono mancare nella libreria di un lettore filo nipponico.

“Neve sottile” di Jun’ichiro Tanizaki  è un romanzo lento, ma tutta da assaporare.
Una storia femminile ambientata agli inizi del ‘900 che racconta la vita delle sorelle Makioka, pretesto per parlare dell’animo e della mentalità di un popolo che deve fare i conti con la crisi della sua cultura.
La vita quotidiana, la passione per le arti, ma anche il senso dell’onore, il rispetto verso le tradizioni e il modo di rapportarsi con l’emergente cultura occidentale sono i punti chiave che tracciano la storia questo libro.
Gli stessi che nel romanzo “Io sono un gatto” di Sōseki sono invece narrati dalla voce di un protagonista speciale: un gatto.
Cinico, intelligente e riflessivo, il delizioso protagonista di questo libro ci spiega, con la sua simpatica superiorità, la crisi dei costumi di quel periodo storico.

Più appassionante, ma forse perché più ricco di vicende, è “Memorie di una Geisha” di Arthur Golden, anch’esso ambientato in questo periodo.
La formazione di una apprendista geisha, la sua vita, la disciplina e tanto altro ancora sono descritti in maniera vivida e intensa, tanto da poter immaginare chiaramente il volto, i gesti e i l’abbigliamento di Sayuri.

Al di là della storia e della descrizione dei caratteri dei personaggi,  è proprio questo il filo rosso che unisce questi libri: la capacità di raccontare il suggestivo panorama in cui i romanzi si svolgono.
Attraverso questi romanzi si sentono gli odori della cucina giapponese, si visualizzano in modo chiaro i villaggi di pescatori e le minimali abitazioni giapponesi, si toccano con mano i loro meravigliosi giardini e si passeggia tra le strade, entrando in scuole di danza e partecipando a cerimonie del tè.

Non stupitevi  quindi se, vedendo un documentario, avrete l’impressione di aver già visitato questi luoghi.

20 gennaio 2016

C'è un gatto in tutti noi

«Il gatto non offre servigi. Il gatto offre se stesso. Naturalmente vuole cura e un tetto. Non si compra l’amore con niente. Voi che amate i gatti, rammentate che i milioni di gatti che miagolano nelle stanze di questo mondo ripongono ogni loro speranza e fiducia in voi».

Chi l’avrebbe mai detto? William S. Burroughs, l’autore beat del visionario e controverso Pasto Nudo ci ha anche offerto un piccolo volumetto che parla di un grandissimo amore: quello verso i gatti.
Un libricino di 100 pagine che diventa una delicata dichiarazione nei confronti di quelli che sono i secondi amici dell’uomo.

Spesso preferiti al più fedele cane, gatti bianchi, gatti persiani, gatti di strada rivivono e diventano protagonisti delle pagine di Burroughs che, attraverso appunti sparsi, piccole note quotidiane e osservazioni, ci racconta il loro mondo, i loro pensieri e la loro psicologia.

Le testimonianze indicano che i primi gatti furono addomesticati in Egitto. Ed è questo il ruolo e la funzione che Burroughs affida al gatto, trasformandolo in compagno psichico e spiritello del focolare con cui dividere la propria esistenza.

L’amore nei confronti dei gatti diventa anche l’incipit per parlare dell’uomo, considerato dallo scrittore “l’animale più cattivo che esista”, e del suo rapporto con il mondo animale. Una relazione spesso violenta e di sottomissione.

L’effetto finale è commovente, forse perché Il gatto in noi riesce a risvegliare soavi esperienze personali.

E il libro diventa un piccolo gioiello che consiglio a tutti coloro che hanno avuto un gatto accanto. E anche a chi non l’ha avuto, perché potrebbe ricredersi.

18 gennaio 2016

Siamo donne o prosciutti?

La domanda che ho usato come titolo può sembrare forte, ma non lo è. Se pensiamo alle condizioni sociali e politiche in cui ci ritroviamo, forse nessuna frase o domanda è abbastanza incisiva.
Il corpo delle donne è elemento di discussione molto attuale in questo periodo. Talk show, quotidiani ed esperti si arrampicano con violenza su argomenti che ci riguardano.
Lorella Zanardo è colei che, più di tutti, può dare un’opinione interessante e acuta sul tema. Perché lei il corpo delle donne l’ha trasformato in uno spunto di riflessione per chi non si sente rappresentato dal mondo delle veline, e in un testo di formazione per le nuove generazioni.

Tagliente come il coltello, lontano da falsi moralismi o astratte concezioni femministe, il libro analizza la pura e semplice realtà presentando comportamenti, idee e pensieri che invadono la televisione italiana.
L’operazione della Zanardo è chirurgica: l’autrice analizza, frase dopo frase, sequenza dopo sequenza, le immagini televisive e la filosofia partorita dalla società contemporanea, smontando le sue teorie con semplici domande logiche. E il risultato è tristemente devastante.
Davvero una donna senza seno rifatto non troverà mai l’amore?
Davvero il corpo della donna, come dice Sara Tommasi, è solo un prodotto da posizionare nel mercato?
Davvero è questo l’ideale di donna che gli uomini sognano?
Sono queste le domande che la scrittrice rivolge a tutti, non solo a chi è d’accordo con lei.
Il corpo delle donne è uno di quei libri che dovrebbero inserire nei programmi scolastici, per formare sin da piccole le ragazze, per dar loro una seconda scelta. Mostrare che è possibile essere delle donne a 360° senza dover per forza passare per il patibolo della televisione o dover mostrarsi come prosciutti appesi in salumeria.
Come donna che ha sempre dato più importanza al pensiero che al corpo, come donna che è sempre stata classificata come strana perché leggeva e non voleva entrare nella casa del Grande Fratello. Come donna di questo tipo ringrazio Lorella Zanardo per questo libro.
Una ventata di aria pulita in Italia.
E a voi consiglio anche la visione del documentario, prima della lettura del libro.
E vi chiedo di trasmetterlo alle vostre figlie, sorelle, amiche.
Per far capire loro che non sono sole, che un’altra rappresentazione di loro stesse è possibile.

08 gennaio 2016

#Scrivoperché

#Scrivoperché voglio dare forma alle mie emozioni.
#Scrivoperché ho bisogno di ricordarmi chi sono.
#Scrivoperché tra me e il foglio di carta c'è la stessa energia che scorre tra un musicista e la sua chitarra.
#Scrivoperché desidero ricordare.
#Scrivoperché mi piace giocare con le parole.
#Scrivoperché voglio calmare la mia mente.
#Scrivoperché mi piace inventare nuove storie.
#Scrivoperché amo ogni singola parola.
#Scrivoperché voglio migliorarmi ogni giorno.
#Scrivoperché mi piace raccontare.
#Scrivoperché scrivere è creare.
#Scrivoperché mi piacciono le storie.
#Scrivoperché quando scrivo mi sento meglio.
#Scrivoperché altro non so fare.

07 gennaio 2016

#Leggoperché

#Leggoperché voglio vivere tante vite.
#Leggoperché in ogni libro c'è sempre una parte di me.
#Leggoperché voglio viaggiare, anche quando non posso farlo fisicamente.
#Leggoperché voglio soddisfare la mia curiosità.
#Leggoperché non voglio annoiarmi mai, nemmeno in una sala d'aspetto.
#Leggoperché non mi basta mai.
#Leggoperché voglio diventare ancora più brava a scrivere.
#Leggoperché voglio essere una persona informata.
#Leggoperché voglio scoprire nuove parole.
#Leggoperché non voglio sentirmi sola, anche quando sono sola.
#Leggoperché voglio conoscere nuovi personaggi.
#Leggoperché sapere è l'arma più potente per affrontare la vita.
#Leggoperché leggere mi rende una persona migliore.
#Leggoperché è questa la cosa che voglio fare per tutta la vita.