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24 aprile 2016

Tre libri che parlano d'amore (meglio di Shakespeare)



Romeo e Giulietta non è la mia storia d’amore preferita.

Nonostante le lacrime e la mia passione per Shakespeare, al velocissimo colpo di fulmine degli amanti di Verona preferisco la tenerezza di un amore lungo una vita. E di amori lunghi una vita, sapientemente raccontati, ne sanno qualcosa Gabriel Garcìa Marquez, Orhan Pamuk e David Nicholls, autori di quelle che considero le più belle storie d’amore mai raccontate.

L’amore ai tempi del colera non ha bisogno di presentazioni: quante emozioni in quelle pagine finali che raccontano con delicatezza il coronamento del sogno d’amore tra Fermina Daza e Florentino Aziza! Che meravigliosa e commovente poesia caratterizza i lenti movimenti dei due, ormai anziani, quando finalmente si ritrovano fisicamente vicini dopo una vita infinita!

Anche Il Museo dell’Innocenza, capolavoro del turco Orhan Pamuk parla di un amore lungo una vita.
Kemal e Fusun si incontrano, si trovano coinvolti in una passione fisica travolgente e vengono allontanati in modo apparentemente interminabile. Vivendo nella speranza di realizzare il loro sogno d’amore.
Dopo averci deliziato con Neve, il primo romanzo dopo il Premio Nobel vede un Pamuk strepitoso, capace di raccontare attraverso un geniale espediente narrativo – l’ossessiva raccolta da parte di Kemal di ogni singolo oggetto legato alla sua amata – la purezza di un sentimento infinito.

Tempo e amore sono anche i protagonisti del romanzo One Day di David Nicholls. Una commedia romantica inglese alla Nick Hornby colta sempre lo stesso giorno, il 15 luglio, per 19 lunghi anni. Anche in questo caso Emma e Dexter sono protagonisti di incontri, separazioni, matrimoni e così via.
Fermina e Florentino, Kemal, e Fusun, Emma e Dexter si trovano, si lasciano, si cercano, si ritrovano o si lasciano.
Ma il loro sentimento pervade la cronaca delle loro vite e non si spegne mai.

Non me ne voglia William, ma questo è l’amore che commuove. Quello capace di resistere.

Chernobyl 1: Lupo mangia cane

Mi sono detta "è solo finzione, è solo un romanzo, è solo un giallo ben descritto", ma il senso di ansia non mi ha abbandonato fino alla fine. Il libro di Martin Cruz Smith, che ho scoperto grazie a un passaparola, è infatti ambientato nel peggiore degli incubi moderni: Chernobyl. E qui realtà e finzione si incontrano e incrociano in un crescendo di doppia tensione e inquietudine.

La trama racconta dell’omicidio del dirigente della NoviRun Pasha Ivanov, ritrovato apparentemente suicida a Mosca, e di quello del suo socio, ucciso fuori dal cimitero di Chernobyl. A indagare è l’ispettore Arkady Renko, già protagonista del precedente romanzo di Smith "Gorky Park", che viene presto trascinato in quella parte del mondo dimenticata e ferita dallo scoppio della centrale nucleare.

A livello stilistico e d'intreccio, Lupo mangia cane svolge perfettamente il suo compito di thriller/giallo: intrattiene, coinvolge il lettore in una lettura di svago e lo spinge a divorare velocemente il romanzo, fino ad arrivare alla scoperta del colpevole. Ma quello che questo libro ha di diverso è la scelta dell’ambientazione: la necropoli Pripijat, poco lontana da Chernobyl.
I luoghi e le storie delle persone vengono descritti in modo lucido e drammaticamente reale, come se l’autore si fosse recato davvero a studiare tutta la zona.Tutto è fermo, le case sembrano tombe e gli oggetti immobili raccontano la vita delle famiglie che li hanno lasciati. Tutto è fermo, tranne la vita delle persone, che diventa un’affannata corsa contro l’ovvia morte.

Possiamo distrarci con Lupo mangia cane, ma durante tutta la lettura si percepisce una sorta di eco disperato in sottofondo, che fa riflettere. Perché molte delle cose raccontate, passate e presenti, sono vicine alla realtà.
Sappiamo, e lo documentano le foto, che a Chernobyl come a Fukushima tutto è fermo.
Sappiamo, e lo raccontano le storie, che in pochi si salvano da tumori e malattie causate dalle radiazioni.
Sappiamo che c’è stato un ritardo nel dare l’allarme e nell’evitare il consumo di prodotti agricoli.
Sappiamo che sono state sottovalutate le conseguenze del disastro.

E’ solo un romanzo, è solo finzione, ma nell’anno del trentennale di Chernobyl, la mente non può che fermarsi per riflettere.

21 aprile 2016

Cecenia. Il disonore russo

"Era il cinquantaquattresimo compleanno del presidente Vladimir Putin e quella morte sembrava un regalo.
Anna Stepanovna Politkovskaja viene sepolta il 10 ottobre 2006 al cimitero Trojekurovo di Mosca.
La sua parola non poteva essere fermata che così.
L’assassinio a oggi non ha colpevoli né mandanti. Ma le sue parole continuano a essere spine ficcate sotto le unghie e nelle tempie stesse del potere russo.
Cecenia è un libro pericoloso.
Anna Politkovskaja l’ha scritto riuscendo a rendere la storia della guerra in Cecenia una realtà quotidiana di tutti. Ed è questo ciò che l’ha uccisa
."

da "La Bellezza e l’inferno" di Roberto Saviano



Prima chiave di lettura: un olocausto contemporaneo

 "Cecenia. Disonore Russo" è un libro che ci pone di fronte alla crudeltà di un potere capace di giocare con le vite degli innocenti. È la storia di un olocausto contemporaneo, e non (come detto dai comandanti russi) una necessaria operazione di antiterrorismo. È la storia di un genocidio etnico e culturale ai danni di un intero popolo, qualcosa di simile all'incomprensibile violenza della Shoah. È un libro che destabilizza e non fa dormire, che parla dell’arroganza di ritenere un popolo straniero indegno di vivere, e della malata idea di una singola persona capace di dare forma (dal nulla) a un’operazione punitiva.

Seconda chiave di lettura: Chi scrive, muore

Il libro va letto anche attraverso la storia della giornalista, che si è trasformata in un testimone oculare scomodo e pericoloso agli occhi dei mandanti dell’operazione. Anna è stata prima vittima della macchina del fango russa, che l’ha denigrata, violentata verbalmente, sbugiardata e manipolato la sua vita perché perdesse consenso. Poi, ritenendo che non fosse abbastanza per fermare la sua voce, Anna è stata assassinata. Perché non togliesse più il cappuccio della penna e continuasse a denunciare quello che compiono i militari russi in Cecenia.

Anna e Roberto

Il parallelismo tra la giornalista e Roberto Saviano, che ha anche raccontato la sua storia nel volume “La Bellezza e l’Inferno”, è la terza chiave di lettura del romanzo. La macchina del fango, la potenza della parola e il destino di chi vuole difendere democrazia e libertà sono elementi comuni nell'esperienza dei due scrittori. Elementi comuni che è necessario trasformare in spunti di riflessione per chi crede ancora nella giustizia e nella non violenza.

E quindi, cosa può fare il lettore?

Pura violenza. Il male. L’ingiustizia. Noi che ogni anno ci raccogliamo il 27 gennaio attorno al ricordo della Shoah, meditiamo.
Perché non è tutto finito.
Perché i genocidi non sono racconti da chiudere nella scatola dei ricordi della Seconda Guerra Mondiale.
Meditiamo perché nel mondo esistono ancora situazioni così, a poche ore dai nostri comodi rifugi.


Meditiamo. Non dimentichiamo. Divulghiamo.

17 aprile 2016

Anna, Zlata e Lina



Ci sono libri che innervosiscono, che coinvolgono il tuo cuore in sensazioni tanto spiacevoli quanto necessarie. Sono i diari e le storie di guerra raccontate da bambine sensibili che dalla vita vogliono solo una cosa: essere felici. Alcune ci riescono, altre no. Tutte, però, rimangono impresse nella mente e nel cuore di chi scopre le loro storie.

La prima è Anna Frank che, con il suo diario e la sua vita, è ormai parte della storia.
Anna è una testimonianza fondamentale della seconda guerra mondiale, e voce di sensazioni e angosce di una bambina coinvolta suo malgrado nelle atrocità create dagli adulti.
E se il suo diario è una lettura fondamentale per giovani e meno giovani, altrettanto importante è visitare l'alloggio segreto ad Amsterdam. Le parole sulla carta non sono in grado di sconvolgere tanto quanto quelle stampate nella stanza dove Anna sognava un futuro migliore.

Durante la guerra in Jugoslava, un’altra bambina ha deciso di seguire le sue orme e descrivere, giorno dopo giorno, emozioni e fatti di questo conflitto attraverso il suo Diario di Zlata. Al quale domanda “Io amavo la mia infanzia e ora una terribile guerra mi sta portando via tutto. Perché?”. A Zlata Filipovic è stato riservato un destino migliore di Anna, anche se l’esperienza ha lasciato una traccia indelebile e una domanda che non ha mai trovato risposta.

Nel 2011 è poi arrivata Lina, protagonista del libro “Avevano Spento anche la Luna” di Ruta Sepetys. Personaggio di finzione, ma solo per alcuni versi. La figura della giovanissima bambina pittrice, deportata dalla Lituania a un campo di lavoro in Siberia nel ’40 dall'esercito russo, è l’emblema della silenziosa carneficina operata dai comunisti ai danni della popolazione lituana.
Una finzione simile a quelle di "Piccola Guerra Perfetta" di Elvira Dones ma viva e impressionante perché nata dall'accurata ricerca di storie vere della scrittrice.

Quello che è hanno in comune questi libri è il male. Il male che ha attraversato questo secolo assumendo forme diverse. Senza colori e bandiere, questo male non appartiene a una sola fascia politica o a un solo uomo, e si contrappone all'innocenza di bambine senza colpe. È un male che fa male.

E cosa possiamo fare noi, oltre a informarci, ricordare, amare e vivere al meglio la nostra vita?
Possiamo fare una cosa importante: scolpire nel cuore la frase di Otto Frank, papà (sopravvissuto) di Anna e autore della più toccante frase dedicata all'argomento:

"Non possiamo più cambiare quello che è avvenuto. L’unica cosa che possiamo fare è imparare dal passato e comprendere cosa voglia dire discriminare e perseguitare persone innocenti. Sono convinto che ognuno di noi abbia il dovere di lottare contro i pregiudizi."

13 aprile 2016

Stoner di John E. Williams

Di Stoner mi ricorderò l’intensa gioia del protagonista quando entrò in contatto per la prima volta con il mondo della letteratura; il profumo delle biblioteche, delle aule e dei libri; il senso di libertà provato durante ogni lettura.

Ricorderò anche la profonda onestà, goffaggine e purezza del protagonista, il suo essere "un buono"; la sua resistenza alle avversità; i suoi fallimenti, la sua capacità di restare sempre fedele a se stesso.

Ricorderò la bellissima relazione con  Katherine, quieta, ma profonda; la cattiveria insita nel cuore degli invidiosi e i pettegolezzi, che possono distruggere una vita.

Ricorderò la scrittura pacata e leggera; i continui naufragi del protagonista e l’arrivo in un porto sicuro, e porterò via con me l’idea che i libri possano davvero diventare un punto di riferimento per l’intera vita.

Di Stoner mi ricorderò la sua capacità di essere un libro perfetto in ogni dettaglio, e un protagonista affascinante. Perché Stoner è un libro, ed è anche un personaggio che vorresti abbracciare, salvare, consolare, scuotere. Un personaggio da ricordare, senza ombra di dubbio.

12 aprile 2016

Maternità travagliate: Oriana Fallaci e Margaret Mazzantini a confronto



Desiderare fortemente un figlio, tanto da essere disposti a tutto. Non poterlo avere, ma sentirsi talmente responsabili da doverlo spiegare attraverso un libro: Margaret Mazzantini e Oriana Fallaci, lontane e diverse, hanno trattato entrambe la maternità, dirigendosi in direzioni apparentemente opposte, ma in realtà accomunate da uno stesso intimo sentimento.

"Venuto al Mondo"e "Lettera a un bambino mai nato" raccontano infatti due decisioni diverse che hanno in comune la disperazione. Da un lato c’è il monologo di Oriana Fallaci, che narra il dramma di una gravidanza inaspettata, dall'altro c’è la Mazzantini che ricama una storia ossessivo-compulsiva sulla necessità di avere un figlio a tutti i costi.

In "Lettera a un Bambino mai nato", la protagonista si pone delle domande profonde che riguardano l’accettazione della maternità. Attraverso un toccante dialogo con il figlio, ricostruisce le paure, le gioie e i dubbi di una donna di fronte alla gravidanza e più in generale alla società.
Gli altri protagonisti, il medico, il padre del bambino, l’amica, i genitori e il datore di lavoro rappresentano il mondo con il quale la protagonista si confronta.
Nell'appassionante romanzo "Venuto al Mondo", la voce narrante racconta invece l’odissea affrontata per avere un figlio dall'uomo amato. Un figlio visto (un po' egoisticamente) come "frutto necessario” per sancire un legame profondo con il proprio uomo.

In questi libri "paralleli", la maternità dal momento del concepimento e la maternità immaginata sono legati virtualmente dalla descrizione dell’emozione che coinvolge le due donne. È un'emozione perfettamente descritta da parole toccanti e ricche di pathos. E il sentimento che coinvolge le due protagoniste si trasforma in una tempesta capace di scuotere anche l’animo del lettore, a prescindere dalla diversa storia narrata.

10 aprile 2016

Una cosa divertente che non farò mai più

Sono due le vacanze che non farei mai: una è quella che mi vedrebbe chiusa tra le quattro mura di un villaggio turistico, l’altra una crociera.

La stesse motivazioni per cui non salirei mai a bordo di una nave da crociera, le ho ritrovate in un testo inaspettato: il divertentissimo libro di David Foster Wallace, “Una cosa divertente che non farò mai più“.

Siamo nel “lontano” 1995 e la rivista Harper’s commissiona al futuro autore di “Infinte Jest” un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi. Il risultato è un libricino tanto piccolo quanto ricco e pungente.

“Una cosa divertente che non farò mai più” – e già il titolo anticipa gran parte del contenuto del libro – è un’esilarante e dettagliata cronaca in cui emerge tutto lo spirito di David Foster Wallace: la sua ironia, il suo cinismo, la sua bravura come scrittore, e anche la sua visione del mondo.

Lo sferzante racconto della settimana in crociera, nonché le maniacali note a piè pagina tipiche dello scrittore, ci regalano una perfetta sintesi del meraviglioso mondo di quelle vacanze dove divertirsi non è un obiettivo o una speranza, ma un obbligo.

Dai tipici comportamenti del turista americano alle ossessive premure di un equipaggio educato a coccolare i passeggeri, lo scrittore dà vita a un’analisi socio-psicologica che ha come protagonisti personaggi memorabili e situazioni disperatamente comiche. E, attraverso quest’accurata riflessione su una vacanza “allucinata”, l’autore partorisce una lucida riflessione sul turismo di massa, sull’uomo contemporaneo e sulla “fruizione passiva di un divertimento”.

In una crociera non c’è infatti spazio per la scelta, per le opinioni e per il proprio personale divertimento. Tutto è già organizzato, costruito e deciso. Da altri. Ai passeggeri non resta quindi che lasciare a casa il loro ruolo di partecipanti per trasformarsi in spettatori di una situazione preparata ad hoc da terzi.

Tra momenti di ilarità pura, risate e alcuni sorrisi a denti stretti, il libro si trasforma nell'analisi più attuale e vera di un fenomeno ancora vivo e vegeto. Perché nulla è cambiato nel mondo delle crociere, la finzione è ancora tutta lì.

08 aprile 2016

Purity di Franzen, dalla A alla Z


A
mori, a volte sereni, a volte impetuosi; Battaglie civili; Coscienza sporca; Demoni; Errori; la Famiglia, secondo Franzen; Un viaggio nella Germania dell'Est; Hacker e Ideologie; Legami, da mantenere o da recidere; Moralità; Nevrosi; Odio; PURITYQuesiti senza risposta; Responsabilità; la Scrittura, in tutto il suo splendore; Totalitarismi; l'Umanità e le sue mille facce; Verità; Web, Xenofilia, YTIRUP; Zavorre emotive.

07 aprile 2016

Lavoricidi, un libro che racconta il mondo del lavoro

Combattere e denunciare la precarietà del mondo del lavoro usando uno strumento che resta per sempre: un libro. È questa l’idea dei quindici giovani marchigiani che hanno creato Lavoricidi, un romanzo-progetto corale che non passa certo inosservato.

Lavoricidi cattura l'attenzione perché usa la forma del romanzo per raccontare ciò che sappiamo e vediamo attorno a noi. Ma è soprattutto un volume che rimane nelle nostre librerie personali, per ricordarci qual è il confine tra giusto e sbagliato e cosa significa far valere la propria dignità.
Lavoricidi è un libro speciale per tre motivi: per il titolo perfetto, perché marchigiano (quindi molto vicino a noi) e perché fa luce su un problema fondamentale in Italia: il mondo del lavoro.

Come Amelie Nothomb ha raccontato (in "Stupore e Tremori") i lati oscuri del mondo del lavoro giapponese, così gli autori di Lavoricidi narrano storie che riflettono la situazione italiana in maniera nitida e realistica. Da chi deve alleggerire il curriculum per ottenere un posto fisso come commesso a una serie di colloqui che culminano in proposte offensive, fino ad arrivare all'ultimo racconto, in cui la precarietà diventa emblema della condizione umana.

Leggere questo libro è faticoso, soprattutto perché rischi di affezionarti a ognuno dei quindici personaggi. Tanto che vorresti essere lì assieme a loro a sbattere un pugno in faccia a certi responsabili delle risorse umane e gridare con loro: "non calpestare la mia dignità", "riesci ancora a guardarti allo specchio la mattina?" "e se ci fosse suo figlio al mio posto?".

"Nessuno di loro sa di essere schiavo" dice la quarta di copertina del libro. "Nessuno di loro sa essere schiavo", oserei aggiungere. Tutelare la propria dignità è infatti il messaggio positivo che emerge dalle pagine di Lavoricidi, un messaggio che non deve essere mai precario.

04 aprile 2016

Esercizi sulla madre

"Esercizi sulla madre" è un affascinante libro scritto da Luigi Romolo Carrino. Un romanzo visivo, un romanzo di sensazioni. Un vero e proprio esercizio di stile.

Originale nella storia e altamente curato dal punto di vista della scrittura, Esercizi sulla madre è una grande scoperta che ruota attorno al tema dell’abbandono.
Il protagonista, rinchiuso in un ospedale psichiatrico, rivive ogni anno la notte in cui la madre l’ha abbandonato e, all'età di 42 anni, sceglie di dipingere con le parole 10 madri, una per ogni ora passata dall'abbandono.

Alle 10 madri che sfilano in quella notte drammatica si sovrappongono le 10 tavole Rorschach e la scrittura prende una forma visiva, immaginaria, surreale.

10 madri, 10 tavole, 10 ore, 10 modi di rappresentare la maternità. Le 10 madri si susseguono in una notte che, più che rivelare apertamente cosa è successo, accompagna il lettore in un viaggio alla scoperta di sensazioni ed emozioni legate ai lati nascosti della maternità.

Esercizi sulla madre è un’idea suggestiva arricchita da una scrittura sperimentale e visiva che evoca le stesse sensazioni di un film di David Lynch.

In questo romanzo, il lettore è travolto dalle parole e dalle immagini che esse evocano. E la storia, con il suo significato, prende forma nella sua mente e viene “ricostruita” proprio sintetizzando parole, immagini e sensazioni.

Come in un romanzo di Murakami, ma a un livello ancora più astratto e complesso, il fulcro chiave del romanzo è che il lettore è parte attiva della storia. È il lettore stesso a dare il proprio senso alla storia o, ancora meglio, abbandonarsi a essa.

E il risultato è un’opera che turba e ipnotizza, sia per la sua bellezza poetica sia la sua spietatezza. Il risultato è un romanzo ricco, un romanzo differente. Forse per questo rifiutato dalle principali case editrici italiane che si accontentano di proporre ai lettori letture più facili e banali.

03 aprile 2016

Storia di un corpo di Daniel Pennac



Il corpo. Testimone di avvenimenti e registro di cambiamenti, espressione di passioni e amplificatore di emozioni. Da quando nasciamo a quando moriamo, le cellule del nostro corpo raccontano – meglio di chiunque altro – la nostra vita.

Il corpo può ribellarsi allo stile di vita contemporaneo, come nel caso di Ipocondria Fantastica di Marina Mander oppure può diventare lo spunto per cambiare le cose in meglio, come successo per Il corpo delle donne di Lorella Zanardo.
In ogni caso, è un messaggero fondamentale, che ci guida e rappresenta in ogni istante della nostra esistenza.

L’ultimo libro di Daniel Pennac è, in questo senso, un piccolo capolavoro narrativo reale e corporeo.
Un diario curioso e appassionato che il protagonista, non a caso anonimo, lascia come testamento-eredità alla propria figlia.

Storia di un corpo è una cronaca raccontata dal punto di vista della fisicità, dall’età di dodici anni alla morte.
Una storia semplice, come tante, dove i cambiamenti del corpo registrano e raccontano quello che accade al protagonista durante la sua lunga vita.

Mentre i cinque sensi si trasformano in strumento per esplorare la realtà che lo circonda, passioni e turbamenti emotivi, malesseri e piccoli incidenti diventano l’espressione di un’avventura lunga una vita. E il rapporto con il corpo diventa per il protagonista il modo per relazionarsi con il mondo e raccontare, a posteri e non, la sua esistenza.

Voci, odori, suoni, sapori e contatti tattili. Cambiamenti fisici, amori, atti sessuali, malattie, cicatrici, accelerazioni, rallentamenti. Tutto nel libro di Pennac si mescola per dar vita a un libro che è testimone assoluto di ogni vita umana.