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02 luglio 2022

A proposito di Wisława Szymborska


Parlare della poetessa polacca Wisława Szymborska mi risulta difficile. Qualunque combinazione di parole, anche la più ricercata, impallidisce al cospetto di ogni suo scritto, che sia una poesia più o meno lunga, un breve estratto del suo discorso di accettazione del premio Nobel (come dimenticare la frase “L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante 'non so'"?) oppure una lesta e ironica recensione di una “lettura facoltativa”.
La sua grazia, nella capacità di trovare i vocaboli giusti per ogni concetto e nel suo modo d’essere, è da sempre modello di riferimento per me. Tanto che “La Gioia di Scrivere”, la raccolta delle sue poesie pubblicata da Adelphi, è da innumerevoli anni ospite fissa sul mio comodino. Come lettura in cui naufragare, come ispirazione, come presenza silenziosa che mi ricorda verso quali belle parole rivolgere lo sguardo.

Per fortuna non è compito di questo amatoriale articolo analizzare la sua poetica dell'esistenza o scandagliare i suoi versi. Ma il dilemma rimane lo stesso: come parlare di una poetessa che ha fatto innamorare di sé, tra gli altri, Ferzan Ozpetek, Roberto Saviano, Umberto Eco e Roberto Vecchioni (che le ha anche dedicato una canzone)? Come raccontare in circa tremila caratteri tutte le sfumature dell’animo di un artista? Parrebbe un’impresa titanica per ogni amante delle belle parole, forse simile al tentativo di contenere in una piccola stanza tutto lo scibile umano.

17 giugno 2022

L'Islanda di Jón Kalman Stefánsson

"Le belle parole non hanno valore se non ci rendono persone migliori."

È questa la frase che più mi è rimasta impressa dopo aver finito di leggere "I pesci non hanno gambe" e "Grande come l'universo", i due volumi della straordinaria saga famigliare islandese di Jón Kalman Stefánsson.
Questa combinazione di parole mi è rimasta nel cuore, oltre che per la sua bellezza mozzafiato, perché quelli di Stefánsson sono due romanzi ricchi di frasi capaci di renderci migliori.
Affrontare questi romanzi è ritrovarsi di fronte alla potenza dei grandi classici della letteratura, trovare una bussola per orientarsi nella vita, viaggiare in un luogo sconosciuto e nuotare in un mare ricco di poesia. È vivere un'esperienza, più che leggere un libro.
Tanto fredda e inospitale è la terra d'Islanda, tanto caldi e rigogliosi sono questi romanzi. Tanto buio è questo angolo di mondo, tanta più la sua gente aspira alla luce. E alla fine i due libri diventano una corroborante bevanda per l'anima. Una bevanda che va assaporata lentamente, gustandone ogni sorso per non perdere nessuna sensazione.

02 giugno 2022

La distanza di Baronciani e Colapesce


Cosa dire, che non è già stato detto, di un fumetto fatto di caldi colori, suggestivi testi, pensieri, musica, panorami e emozioni come "La Distanza"?
Nulla probabilmente.
Ma sarei una blogger incompleta se non vi parlassi di questa "figherrima" graphic novel capace di farvi sentire i profumi dell’estate anche in inverno.

Partiamo però dalle origini. Chi sono i due giovanotti che hanno dato vita a questo fumetto?
Uno è Alessandro Baronciani, un bravissimo grafico e illustratore originario della mia città, Pesaro. In poche parole: un disegnatore di quelli che valgono.
L’altro è Lorenzo Urciullo (in arte Colapesce), uno straordinario cantautore, un poeta capace di “inventare nuove strofe come un fabbricante d'armi.” In poche parole: un cantautore di quelli imperdibili.

Semplici, limpidi e divertenti, Alessandro e Lorenzo non sono solamente due straordinari artisti. Sono due personaggi positivi dei giorni nostri, che parlano della vita e del mondo dentro e al di fuori di noi. E il mondo di Baronciani e Colapesce è ricco di emozioni, concreto, reale, vivo più che mai. Come è concreta ed emozionante la bellissima storia on the road che hanno creato.

Ambientata in una calda estate siciliana, “La distanza” ha come protagonista Nicola. Nicola, fidanzato con una ragazza che vive a Londra, decide di partire per un mini-tour dell’isola prima di raggiungerla.
La meta è un Festival ma, dopo l'arrivo di due nuove compagne di viaggio, il tour si trasforma in un appassionante percorso interiore e Nicola diventa il simbolo di tutti quei trentenni che spesso non sanno dove andare.

Lo stile di Baronciani e la sua capacità di raccontare le diverse emozioni dell’animo umano sono perfettamente espresse da un tratto deciso e da sequenze che nulla hanno da invidiare a un film di Sorrentino. È un tratto semplice, ma carico di significato. Un tratto decisamente narrativo.
I suoi disegni si combinano perfettamente con una storia chiara e semplice come la bellezza di quest’isola, e con dialoghi soavi e leggeri come una brezza estiva.

E se a questo aggiungiamo l'estate, le notti brave, il viaggio, la musica, l’amore a distanza, le passioni indecise e la confusione, il risultato è un libro giovane e spensierato, un libro bello come una passeggiata in riva al mare. E bello, ovviamente, come la vita.



Ps. E se vi capita (perché nuove date potrebbero ricapitare), non perdetevi il Concerto Disegnato!

01 marzo 2022

Così è la vita, così è la morte

Perdere un genitore, un figlio, un fratello, un amico. Reagire al dolore. Trovare il proprio modo personale per esorcizzarlo.Vivere il lutto come un’esperienza che è parte della vita. Non negare, quindi, l’esistenza della morte.

Sono questi, elencati alla rinfusa, i pensieri che si rincorrono in due libri che analizzano il lutto attraverso punti di vista che si completano tra loro.

"La grande festa" di Dacia Maraini e "Così è la vita" di Concita De Gregorio, già dal titolo, suggeriscono quello che le due autrici vogliono comunicare attraverso le loro pagine: la morte è parte naturale della vita stessa e va rispettata (e vissuta) come tale.

12 gennaio 2022

Chernobyl 2: Io, Francesco Matteo Cataluccio e Svetlana Aleksievic

Nell'aprile del 1986 avevo quattro anni. Abitavo in Ulica Bonerowska a Cracovia, a 862 chilometri da Chernobyl.
Difficile partire dai miei ricordi, perché sono pochi e forse non nitidi. Tuttavia, nel corso degli anni, si sono uniti a quelli reali di mamma, nonna e altri parenti, quasi a creare una coscienza comune e un'idea unica a proposito del disastro. Io qualcosa però ricordo, ad esempio il mio ricovero in ospedale, dopo l’esplosione del reattore, per una violenta forma di tracheite che mi ha accompagnato fino all’età di dieci anni.

Mia madre e mia nonna però si ricordano molto. Si ricordano che l’avviso di non mangiare frutta e verdura, e non bere acqua dal rubinetto, è arrivato tardi. Troppo tardi. Si ricordano dell’amica di mia mamma, che ha partorito a luglio una bambina con i denti neri. Si ricordano del ritorno del tumore di mia nonna. Si ricordano di quali effetti ha avuto il disastro sulla loro tiroide. Si ricordano che lo iodio era difficile da trovare se non avevi in famiglia un dirigente del partito. Si ricordano storie, si ricordano volti, e si ricordano che nessuno – ma proprio nessuno – è uscito completamente sano da quel periodo.
A Cracovia, l’attività radioattiva al suolo arrivò fino a 360.000 Bq/m2. Il valore massimo in una situazione normale è circa 150 Bq/m2.

Quando ho pubblicato per la prima volta queste parole, una persona mi ha attaccato nei commenti. Dal calduccio della sua casetta, e senza aver vissuto nei paesi dell'Est in quel periodo, riteneva il mio articolo una "storia della nonna perfetta attorno a un camino". Perché? Perché i dati ufficiali  raccontavano (e raccontano) altro.

A distanza di cinque lunghi anni, finalmente posso suggerire a questo indimenticabile personaggio di farsi una cultura con due letture molto complete e obiettive. Non scritte da mia nonna, ma da due autori che forse riterrà più autorevoli di me. Parlo di "Chernobyl" di Francesco M. Cataluccio e "Preghiera per Cernobyl'" di Svetlana Aleksievic. 

Il primo è un romanzo di memorie che ci svela la storia di quel luogo abbandonato e del suo popolo. Ci consente, in poche parole, di dare un'identità e un carattere ai luoghi del disastro e alla sua gente, che tanto ha dovuto soffrire anche prima del 26 aprile 1986.
"Chernobyl" è un racconto di viaggio che parte nel 1193 e arriva fino ai giorni nostri, per aiutarci a capire cos'era quest'angolo del mondo e perché fu eletto per sperimentare la cancellazione del diritto di narrare la propria storia.


Nel suo straordinario libro, Cataluccio in due occasioni cita Svetlana Aleksievic, giornalista ucraino-bielorussa che ha raccontato la tragedia nel suo "Preghiera per Cernobyl'". E allora, visto che un libro apre sempre un altro libro, l'ho letto. Anzi, l'ho vissuto, perché il libro della Aleksievic ti porta lì, tra questi sopravvissuti a metà. 

"Preghiera per Cernobyl'" è un intenso libro di dialoghi, dove emerge tutta la cruda realtà di quello che noi possiamo solo immaginare. A parlare sono persone di ogni estrazione sociale: contadini, soldati, pompieri, madri, docenti universitari, liquidatori, cineoperatori, medici, ingegneri, storici, mogli, insegnanti, credenti, atei e, soprattutto, tantissimi devoti alla "religione comunista".
Voci solitarie che finalmente possono narrare senza paura dei loro morti e dei figli malati, delle risposte che non hanno ricevuto, dei corpi che non hanno potuto seppellire e delle bugie del governo. Sono storie diverse, ma nessuna di queste ha un finale felice. Perché Chernobyl ha avvelenato le loro vite e il loro tempo. E anche il nostro tempo.