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27 gennaio 2016

Zonenkinder, ovvero la vita ai tempi della DDR



Nel 2013 ho dedicato la mia vacanza estiva a Berlino.
In questa città moderna e vibrante, sono tanti gli spazi dove è possibile toccare con mano La Storia. Dal Memoriale dedicato al Muro all’East Side Gallery, passando per il museo della DDR e quello della Stasi, visitare questa città è come prendere appuntamento con il passato. Un passato da toccare, osservare e approfondire.

Per questo, una volta tornata in Italia, ho sentito la necessità di indagare meglio un periodo di cui anche io sono stata testimone.

Tra i libri che più mi hanno colpito c’è "Zonenkinder. I figli della Germania scomparsa", un volume a metà tra saggio e autobiografia scritto da Jana Hensel.
Come la straordinaria graphic novel Marzi, questo libro scava in profondità e mostra al lettore la vita ai tempi del comunismo.

Estremamente preciso e ricco di aneddoti, nonché completo di note e informazioni (utili anche per chi non conosce la vita ai tempi del comunismo), questo volume è un racconto-viaggio alla scoperta di come si viveva prima e dopo la caduta del muro di Berlino.
Attraverso un interessante parallelo tra la DDR e la Germania di oggi si svelano differenze e si scoprono pregi e difetti di entrambe le epoche.
Ma manca una cosa: un finale felice.

Dopo l’89, gli ex-adolescenti e i loro genitori si ritrovano spaesati, senza più origini. Schiacciati da un mondo che, ancora oggi, non comprendono bene.
Il posto fisso è sostituito dalla precarietà, gli impegni e le attività di gruppo da pomeriggi in solitudine, il piacere di apprezzare le cose perché conquistate con fatica da un consumismo senza freni. E la sensazione, che emerge da parole e contenuti, esprime perfettamente lo smarrimento di questa generazione di persone.
Senza dimenticare le colpe del comunismo, leggere queste storie e i loro approfondimenti può essere molto utile. Per osservare la storia da un altro punto di vista e, soprattutto, riflettere meglio sulla società odierna.

D'altronde, tutto il senso del libro è racchiuso in una domanda presente nella prefazione: “Si può essere felici sotto una dittatura?”. E la risposta è sì. Perché un bambino non vede la realtà in modo ideologico. E perché la realtà non ha mai una faccia sola.

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