Cerca nel blog

10 febbraio 2016

Intervista a Francesco Matteo Cataluccio

Di Francesco M. Cataluccio ho adorato ogni singolo libro. Dal primo che ho letto (Vado a vedere se di là è meglio) all'ultimo (Immaturità, la malattia del nostro tempo).
Disse Salinger "Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue, vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira." E con Francesco questa citazione si è trasformata in realtà. Solo che abbiamo usato un altro mezzo: non un telefono, ma l’email. Grazie a quest’amicizia virtuale sono stata così fortunata da poterlo intervistare.  Ecco cosa mi ha raccontato.




Buongiorno Francesco e grazie per aver accettato di essere intervistato. La prima domanda è d'obbligo: perché ha cominciato a scrivere libri?

Ho cominciato a scrivere il primo libro (Immaturità, la malattia del nostro tempo, Einaudi, 2004) quando ho smesso di dormire. Mia figlia, Bianca, da piccola, si svegliava spesso durante la notte e toccava a me occuparmene. Una volta interrotto il sonno, però, era difficile riaddormentarmi. Così presi a rileggere le decine di quaderni, piene di appunti di letture e pensieri, che avevo riempito negli ultimi anni attorno a una questione che mi si era ficcata in testa da quando mi ero occupato dello scrittore polacco Witold Gombrowicz: l'immaturità come caratteristica della Modernità.

Gombrowicz fu feroce critico dell'immaturità (basti pensare al romanzo Ferdydurke, 1937) ma lui stesso era un immaturo "innamorato della propria immaturità". Avevo un contratto che mi aveva fatto Giulio Einaudi, pochi prima di morire, per un saggio sull'argomento. Ma, sarà stata l'insonnia o la piacevole angoscia di esser padre, ne venne fuori uno strano libro, pieno di considerazioni personali e racconti, assieme a lunghe citazioni e riflessioni sociologiche. Questo è il motivo per cui ci vollero diversi anni prima che venisse pubblicato: all'Einaudi non sapevano in che collana infilarlo.

Come mai ha scelto come genere letterario la forma saggistica? 

Il successo di critica e pubblico di quella prima esperienza (tradotta in varie lingue e ripubblicata da Einaudi con l'aggiunta di un nuovo capitolo, ancor più pessimistico, nel 2014) mi convinse che la mia strada fosse quella di scrivere una sorta di saggi letterariamente ricchi, nei quali il racconto fosse la struttura principale per comunicare fatti e idee anche difficili.

La migliore definizione del mio libro successivo, reso possibile dal fatto che, nel 2010 smisi di lavorare nell'editoria, Vado a vedere se di là è meglio. Quasi un breviario mitteleuropeo (Sellerio), la dette proprio mia figlia nemica del mio sonno: "un romanzo con le note".

I suoi libri sono l'ideale per animi curiosi perché stimolano a scoprire nuovi libri. Come ci si sente a essere un riferimento per chi cerca nuove letture? 

Per mia fortuna non ho mai lavorato in ambito accademico, né scrivo per guadagnarmi da vivere (da giovane feci per un breve periodo il giornalista, ma come forma di militanza politica, ma capii rapidamente che se avessi dovuto guadagnare con i miei articoli non sarei stato libero di dire liberamente le cose strampalate che pensavo). Scrivo quindi, nei ritagli di tempo e per una buona parte delle notti, per piacere.

Fin da piccolo ho amato scrivere e disegnare per farmi capire meglio. Oltre a questo, c'è una sorta di debito di riconoscenza: sono nato in una casa strapiena di libri; i miei genitori hanno fatto di tutto per darmi un'educazione ricca e profonda; ho avuto molti maestri e amici straordinari; ho fatto sempre dei lavori che mi hanno messo a contatto con la cultura e le idee. Sento, sinceramente, di dover restituire
agli altri, come posso, un po' di tutto questo, raccontando quello che ho visto, sentito e letto e i ragionamenti che ci ho fatto su.
Per questo, nei miei libri (sempre in fondo, per non interrompere il flusso della lettura) ci sono decine di note e rimandi a libri che ciascuno, se ne avrà voglia, potrà andarsi a leggere per verificare e approfondire.

Ho amato e amo i suoi libri anche per un motivo personale: sono polacca e tra le pagine che ha scritto mi sento a casa. 

Ho abitato in Polonia, con una borsa di studio, per sei mesi, quando preparavo la tesi di laurea su alcuni filosofi polacchi e poi, per tre anni, per fare dei disordinati (ma utilissimi!) studi di dottorato in Letteratura e storia dell'arte. La Polonia è stata un'esperienza fondamentale nella mia vita, e anche per la mia scrittura. A volte, per quel poco che dormo, sogno in polacco: e mi faccio delle chiacchierate bellissime. E' un grande orgoglio per me sapere che, leggendomi, una polacca possa "sentirsi a casa".

Com'è nato questo interesse per il mio luogo d'origine e in generale per i paesi dell'Est?

L'interesse nacque dalla passione giovanile per il teatro. A Firenze si teneva annualmente un festival (la Rassegna dei teatri stabili) dove venivano spesso invitati spettacolosi teatri polacchi che mettevano in scena Witkiewicz, Wyspianski, Mrozek. E poi, in una calda primavera, arrivo Kantor con la sua Classe morta e in seguito si stabilì a Firenze per mettere in scena Wielopole, Wielopole. La Polonia è teatro. E questo vale, anche se in misura diversa, anche per altri paesi del centro Europa e per la Russia. Dal teatro mi sono mosso per approfondire quei mondi, e in questo ne sono stato, forse, un po' condizionato.

Qual è un libro al quale è particolarmente affezionato?

I libri che amo, quelli "da comodino", come li chiamava Benedetto Croce, sono: Il Maestro e Margherita di Bulgakov; i Saggi di Montaigne; Le confessioni di Agostino d'Ippona; la Divina Commedia di Dante; l'Odissea di Omero e l'Ulisse di Joyce.

Per quanto riguarda la letteratura polacca: ovviamente tutti i libri di Gombrowicz e, in particolare, il Diario (che ho curato per Feltrinelli); Le botteghe color cannella e Il sanatorio all'insegna della clessidra di Bruno Schulz (la cui edizione critica delle opere ho curato per Einaudi). Mi sento molto vicino alla sensibilità di Miłosz, Herbert e Szymborska (tre poeti che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente).

Cosa sta leggendo ora?

Ho appena finito di leggere un libro triste ma necessario sulle centinaia di fosse, spesso inesplorate, di cadaveri massacrati, nel XX secolo, nel centro Europa: Paesaggi contaminati (Keller editore) dello scrittore austriaco Martin Pollack.

Quali progetti l'aspettano in futuro?

Dopo il libro La memoria degli Uffizi (Sellerio) sto lavorando da un paio d'anni a un libro sulle "camere delle meraviglie" (Wunderkammer), ma vengo continuamente distratto dalla scrittura di testi più occasionali, quasi tutti però legati in qualche modo all'arte.

Francesco Matteo Cataluccio (1955) ha studiato Filosofia e Letteratura a Firenze e Varsavia. Si occupa dei programmi culturali dei Frigoriferi Milanesi. Collabora al supplemento domenicale del “Sole24ore”, "ilPost", “doppiozero”, “Inventario” ed “Engramma”. Nel 2012 ha vinto il Premio Ryszard Kapuściński. Ha scritto: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi, Torino 2004; nuova edizione riveduta e ampliata 2014; Siruela, Madrid 2006; ZNAK, Kraków 2006); Vado a vedere se di là è meglio. Quasi un breviario mitteleuropeo (Sellerio, Palermo 2010; Premio Dessì per la letteratura 2010; ZNAK, Kraków 2012; Noir sur Blanc, Paris 2014); Che fine faranno i libri? (Nottetempo, Roma 2010); Chernobyl (Sellerio, 2011; Zsolnay, Wien 2012; Wyd. Czarne, 2013); L’ambaradan delle  quisquiglie (Sellerio, 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio, 2013); I bambini del dottor Korczak, in Almanacco Sellerio 2014-2015 (Sellerio 2014); La stazione, nella raccolta di raccontiMilano (Sellerio 2015).  

Nessun commento:

Posta un commento