Cerca nel blog

14 febbraio 2016

Intervista a Romana Petri

Figlia del cantante lirico Mario Petri, Romana Petri è una straordinaria autrice capace di costruire grandi storie. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti come il Premio Mondello, il Rapallo Carige, il Grinzane Cavour e il Bottari Lattes. Se il suo "Ovunque io sia" è un romanzo degno della migliore Allende, per "Le serenate del ciclone" non bastano gli aggettivi. Affascinante, profondo e sperimentale nella narrazione, l'ultimo romanzo di Romana Petri è una melodica opera che rimane impressa nel cuore e nella mente.
Oltre a regalarmi libri dotati di un'espressività senza pari, Romana mi ha fatto un altro dono: il suo tempo (accettando di rispondere alle mie domande). Ecco cosa mi ha raccontato.

Buongiorno Romana e grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande. Iniziamo subito con due domande che definirei preliminari: perché hai cominciato a scrivere libri? Come mai hai optato per la forma narrativa?
Difficile dire del perché del proprio inizio. In genere si tratta di un'urgenza, almeno per me è stato così. Si comincia col raccontarsi delle storie che vengono in mente, ci si stupisce anche un po' di avere di queste fantasie. Quando diventano delle vere e proprie ossessioni è il momento di cominciare a farne carta. Io ho cominciato verso i vent'anni, appena finito il liceo. Ovviamente non ho pubblicato nulla di quello che scrivevo allora. Erano solo tentativi e ne ero consapevole. Devo anche dire, e con grande rammarico, di aver perso in un trasloco il mio primo romanzo. Non che fosse da pubblicare, ma era la prima cosa che ho scritto e mi è dispiaciuto.

Ci sono degli autori che più di altri hanno influenzato la tua scrittura?
Moltissimi sono gli autori che ho amato nel corso della mia vita. Diciamo che ognuno ha avuto il suo periodo e che alcuni, invece, restano sempre attuali. Questi ultimi sono di certo i più importati. Di certo la letteratura epica, la prima che ho ascoltato per bocca di mio padre che me la raccontava, recitava, leggeva, interpretava. Tutto ciò che è epico (per me sinonimo di mancanza di sfumature) mi strugge sempre. E dunque, oltre all'amato Omero, anche tutto il siglo de oro spagnolo, Cervantes, Ariosto, le Canzoni di gesta, l'Eneide. E molti romanzi decisamente epici del '900 come quelli di Guimarães Rosa, Elias Canetti, Marquez, Saramago, Clarice Lispector, Elsa Morante, Anna Maria Ortese, Giorgio Manganelli. L'elenco sarebbe lunghissimo. In genere mi appassionano le opere che, con una lingua poderosa, separano in modo chirurgico il Bene e il Male. Insomma, quella che oggi si potrebbe definire una scelta politicamente non sempre corretta.

Da dove prendi spunto per le storie dei tuoi romanzi?

Per un romanzo si prende spunto per prima cosa dalla vita. Ma la vita da sola non basta mai, ci vogliono le grandi immersioni nei libri degli altri, e non solo nei romanzi, ma anche nei saggi. E poi non sono mai gli scrittori a scegliere le storie, bensì le storie che scelgono uno scrittore. E gli danno anche un tempo. Ce ne sono che dicono: scrivimi e scrivimi subito. Altre che ti danno maggior tempo, anche quello di scrivere, in una pausa, addirittura un altro libro.
 
La tua scrittura è ricca di riferimenti alla letteratura. Quanto è stato importante questo bagaglio personale nella creazione e stesura dei tuoi libri?
Ci si riferisce sempre ai libri degli altri. Non si tratta di plagio, ma di naturale inclinazione. Ci sono libri che ci ispirano molto e che spesso ritornano in ciò che si scrive, a volte lo fanno con un'unica parola riconoscibile solo per chi la usa. la letteratura nasce sempre grazie a un processo imitativo.

Dei tuoi libri ho apprezzato moltissimo lo stile. Pulito, leggero e allo stesso tempo curatissimo. Come ti approcci al processo di scrittura? È un lavoro lungo e minuzioso?
Mi definisco una scrittrice inconsapevole. Quando mi metto a scrivere so solo che mi va di farlo, non quello che scriverò. E mi  lascio trasportare da una specie di dettatura interiore, mi viene di chiamarla così, non troverei altro modo. Poi, a libro finito, devo metterlo via e non rileggerlo almeno per un anno. Deve passare tempo del distacco. Allora comincia un lavoro molto più consapevole e meno entusiasmante, quello della limatura, degli aggiustamenti, delle aggiunte e dei tagli. In quel momento il punto d'appoggio più sicuro è il mestiere.

Le serenate del Ciclone, libro che ho amato tantissimo, è un romanzo avvincente e allo stesso tempo un toccante diario famigliare. Secondo te, trasportare in un libro la propria esperienza personale, rende la sua creazione più semplice o difficile?
Quando di parla della propria vita, della propria famiglia, come mi è capitato di fare con Le serenate del Ciclone, le idee arrivano con grande abbondanza. Si potrebbe credere allora che la scrittura sia più facile, e in parte lo è quanto a materiale, ma poi si ha a che fare con una materia troppo viva e bruciante e allora l'idea di letteratura ludica si slontana un po' e ci si ritrova a rimestare nei propri visceri. Cosa mai neutra, anzi, spesso dolorosa.

Secondo te, qual è la formula giusta per un bel romanzo?
Difficile dire qual è la formula giusta per scrivere un buon romanzo. Direi che una formula vera e propria non c'è. A me piacciono i romanzi che nascono non da una costruzione, ma da una vera e propria necessità. Insomma, preferisco gli scrittori che devono esserlo e non quelli che vogliono esserlo.

Cosa stai leggendo ora?
Sto leggendo un bellissimo romanzo di una giovane brasiliana, Ana Paula Maia, che si chiama Di uomini e bestie. Un romanzo sulla brutalità umana e sull'innocente fragilità animale.

Nessun commento:

Posta un commento